Felix, il protagonista di Un pasteur di Luois Hanquet in concorso all’Euganea Film Festival, è un giovane pastore solitario sulle Prealpi francesi. Le prime inquadrature di questo documentario contemplativo ricordano i quadri di David Friedrich. La nebbia accarezza le cime e le valli. Il gregge è l’altro grande protagonista, lo vediamo spostarsi da un’inquadratura soggettiva dall’alto così simile a uno sciame di formiche o a una folla metropolitana durante l’ora di punta. La cura che il protagonista ha verso la natura è toccante, il suo sguardo di compassione verso l’agnello, che dopo il parto non è sopravvissuto nonostante i tanti tentativi di rianimazione, è tra le scene che restano dopo la visione.
Un pasteur
Il pastore non è l’unica presenza umana nel film, intorno a lui si muove silenziosa una comunità di pastori e parte della sua famiglia. Dal suo lavoro di pastore Felix evade percorrendo la montagna in solitudine in lunghe passeggiate, dove i campi lunghi rendono il concetto di finitezza umana davanti alla spettacolare e anche spaventosa magnificenza della natura, Felix diventa così una sorta di incarnazione del pastore errante leopardiano. Dove però tutto sembra fermo, in realtà è soggetto a un cambiamento continuo. C’è il trascorrere delle stagioni, la neve che cade sul manto del gregge. Il cambiamento meno vistoso è il grande cambiamento climatico che influisce anche sulla vita dei pastori.
La mia anima è quella di un pastore, conosce il vento e il sole e cammina per mano con le stagioni.
Felix legge Fernando Pessoa e si identifica nella sua opera Il guardiano di greggi.
Un pasteur, un eroe romantico
Il silenzio della vita di montagna raccontata così realisticamente è però rotto dall’arrivo furtivo dei lupi di notte. L’attacco del lupo è raccontato come se fosse un film horror, con la musica che incalza, la nebbia che si infittisce sul fianco scuro della montagna e le riprese a infrarossi sgranate che mostrano il carnefice come un fantasma. Lo stacco di montaggio cruento sulla vittima ci riporta alla realtà.
Che giorno è? Chiede un padre a suo figlio, un pastore anche lui, una semplice battuta che ci fa capire come il tempo si perda per questi uomini dal mestiere così ascetico. A scandire il loro tempo ci sono le piccole epifanie della natura, come può essere l’avvenuto allattamento di un piccolo agnello o l’aiutare una pecorella a uscire dalla rete in cui si è incastrata.
Il regista Louis Hanquet, al suo primo lungometraggio documentario, è riuscito a restituire un ritratto romantico di un pastore, romantico nel senso più profondo del termine, attraversato cioè da quel fascino sinistro che l’uomo sente a volte verso una natura misteriosa e sorprendente.