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Biennale del Cinema di Venezia

‘Harvest’ Un raccolto dalle sfumature inaspettate

In concorso a Venezia 81, Harvest di Athina Rachel Tsangari prende spunto da un romanzo ambientato in Scozia nel 500 per raccontare una storia universale e avvolgente.

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L’81esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia presenta, in concorso nella selezione ufficiale, Harvest di Athina Rachel Tsangari. La cineasta greca sceglie, per il suo quarto lungometraggio, un romanzo ambientato nella Scozia del 500, scritto da Jim Crace. Dopo aver trionfato con Attenberg, nel 2010, tenta così di nuovo la sorte, con un’opera assolutamente degna di nota.

I protagonisti della pellicola arrivano da ogni parte del mondo, dallo scozzese (e sempre magnifico) Caleb Landry Jones alla brasiliana Thalissa Teixeira, dal britannico Frank Dillane al nigeriano Arinzé Mokwe Kene. Questa mescolanza rende il progetto ancora più pregevole e mostra quanto, a fronte di idee e competenze solide, il cinema possa stupire ed emozionare.

Vivere della propria terra

In un’epoca non ben precisata del passato, una comunità vive dei frutti della terra e della propria fatica. Circondati di verde e di azzurro, gli abitanti trascorrono le loro giornate in maniera alquanto abitudinaria, sebbene ogni tanto degli incidenti intervengano a spezzare la routine. Charles Kent (interpretato dal mitico cugino di Harry Potter, Harry Melling) ha l’incarico di mandare avanti le cose e far sì che tutto funzioni, senza discussioni o violenza. Il suo metodo prevede, infatti, di non punire i colpevoli di determinati atti, ma di contare sul buon senso delle persone.

Tutto va a rotoli e non so come impedirlo.

Tra questi, Walter Thirsk (Landry Jones) sembra avere un ruolo particolare, dal momento che ha un’istruzione e aiuta, come e quando può, nell’amminiztrazione della comunità. Il giorno in cui arriva il cugino di Kent, Edmund Jordan (Dillane), gli equilibri si spezzano, mostrando un’altra faccia della società a coloro che hanno sempre vissuto in modo semplice e fuori dagli schemi, ignari dei diritti e delle beghe legati alla proprietà terriera.

Dall’estetica di Harvest all’universalità del messaggio

Forte dei contributi della fotografia (a cura di Sean Price Williams) e della scenografia (Nathan Parker), Athina Rachel Tsangari realizza e immortala uno scenario incredibilmente suggestivo e viscerale. La natura sembra prenderne il sopravvento, soprattutto nella prima metà della storia, con i suoi ritmi, i colori e la sensazione di una libertà che non ha e non può avere confini. Giocando con una serie di elementi riconoscibili – la pioggia, le fiamme – e riconducibili a un preciso immaginario, la cineasta immerge i suoi spettatori all’interno di questo universo fuori dal tempo e dallo spazio.

Ero più un angelo che una bestia.

Harvest si rivela, così, un’opera dall’estetica potentissima, capace di meravigliare gli occhi, prima di colpire al cuore. Lo fa con una narrazione lenta, ma puntuale, andando a raccontare la vita di una comunità rurale, alle prese con il sopraggiungere della modernità, a cui si legano, inevitabilmente, soprusi e violenza. Il cambio di registro, a circa metà della narrazione, è come una scossa. Tanto per i personaggi quanto per il pubblico. La paura dell’estraneo, la necessità di proteggersi all’interno, la sete di conoscenza e le conseguenze della modernità sono solo alcuni degli spunti offerti dal film, suggellati da una confezione ricercata e possente.

*Sono Sabrina, se volete leggere altri miei articoli cliccate qui.

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Harvest

  • Anno: 2024
  • Durata: 131
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Regno Unito, Germania, Grecia, Francia, USA
  • Regia: Athina Rachel Tsangari