“Favola moderna e dolce di un essere umano e del suo sogno; di un figlio e dell’immagine del padre. Piacevole e brillante sorpresa dal cinema italiano”.
Gioco, ricordo, sogni, visioni. Piacevole e brillante sorpresa dal cinema italiano. È non è poco. Nonostante alcuni difetti “genetici” (primo fra tutti, il ridondante Nicola Piovani, narrato musicale che spezza un ritmo proprio che la mdp, la scrittura e gli attori assorbono e riproducono con la massima naturalezza).
Ha una sua luce, L’uomo nero, favola moderna e dolce di un essere umano e del suo sogno; di un figlio e dell’immagine del padre. Anni ’60: Ernesto Rossetti è un capostazione di un piccolo paese, ossessionato dalla pittura, sua vera missione, assorbita e vissuta come emancipazione da un’esistenza statica e piatta. Quest’anelito condiziona coloro che gli stanno attorno, moglie e figlio in primis, che subiscono gli umori, le contraddizioni e le debolezze di un uomo, dimentico dei propri ruoli (marito e padre), che esprime solo se stesso. Gabriele, bambino vivace e immaginifico, convive con una figura paterna che non gli dà riferimenti, rifiutata sistematicamente quale modello. Ma la vita, maestra per tutti, lo porterà, adulto, a scoprire un segreto che gli permetterà di comprendere “l’essenza umana” di suo padre.
Rubini torna alla Puglia e ai suoi colori, che ben si mescolano con Cézanne, con il viaggio e l’immobilismo, con la tipicità di figure di provincia piccole, tristi e divertenti. Quasi tutte ben riuscite, Riccardo Scamarcio incluso (rispetto ai film visti, credibile per la prima volta): uno zio Pinuccio scapolo impenitente, fregato dalla corrente elettrica. Rubini è quasi giunto a un piccolo miracolo: segnate queste due scene. 1) Gabriele che si toglie le scarpe e corre tra i vicoli a giocare con i monelli del paese. 2) Gabriele che va a prendere l’acqua al cimitero e attraversa le tombe dei bambini morti. La mdp corre e ansima insieme a lui, e noi con essa, dentro un movimento e un respiro cinematografico fluido, denso e vibrante. Ho odorato François Truffaut dentro queste scene, ho quindi odorato per due volte la poesia del fare cinema.
Maria Cera
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