fbpx
Connect with us

Far East Film Festival

Far East Film Festival 2024, intervista alla direttrice Sabrina Baracetti

Far East Film Festival 2024. La direttrice e fondatrice Sabrina Baracetti ci parla del cinema dell’Estremo Oriente e del programma della 26a edizione.

Pubblicato

il

Sabrina Baracetti

Tutto pronto a Udine. Dal 24 aprile al 2 maggio, il cinema dell’Estremo Oriente aprirà il suo scrigno di gemme cinematografiche nella 26a edizione del Far East Film Festival.

Per saperne di più, abbiamo intervistato la direttrice Sabrina Baracetti, che ci guida all’interno della ricchissima proposta del Festival.

Il Far East Film Festival ha una fortissima specificità ed è uno straordinario osservatorio sul cinema orientale. Qual è lo stato dell’arte per questa 26a edizione?

La situazione è un po’ diversa da Paese a Paese, perché sono dodici le cinematografie che noi consideriamo e ognuna potrebbe fare storia a sé. Rispetto, ad esempio, a uno dei temi più forti di questi ultimi anni, il Covid, i vari Paesi hanno reagito in maniera differente. Tracciando le linee generali di quell’area, c’è un ritorno del pubblico nelle sale. Quello che più ha faticato è stato, incredibilmente, il cinema coreano perché, subito dopo la pandemia, si è creata una situazione d’accumulo di tanti film che erano pronti, ma non trovavano una data di uscita in sala. Anche perché poi, nel frattempo, sono diventati “vecchi” e, purtroppo, alcuni di questi non si sono proprio visti. Le sale sono rimaste vuote anche quando tutto il mondo stava reagendo. Questo per tutta una serie di motivi: l’aumento del prezzo del biglietto, il fatto che i distributori non credessero più in tanti titoli, un gruppo di giovani critici che stroncava il giorno stesso dell’uscita alcuni film che, sulla carta, sarebbero dovuti essere grandi successi. Insomma, una serie di coincidenze ha inferto un grave colpo a quella cinematografia che, a tutti gli effetti, era una delle più forti, a livello locale e internazionale. Questa situazione sta comunque cambiando, tant’è vero che il Far East Film Festival mostra, all’interno di una vasta selezione che comprende 75 titoli, due film che, in Corea del Sud, hanno superato i 10 milioni di spettatori: Exhuma, un horror che affonda le sue radici nella cultura folclorica coreana, e 12.12: The Day, un thriller storico ambientato il 12 dicembre 1979, quando, dopo la caduta del dittatore Park, ci fu un vero e proprio colpo di Stato. Un thriller politico che quasi tutti i coreani hanno visto sul grande schermo.

Exhuma

Exhuma

Tu sei alla guida del Far East Film Festival sin dalla prima edizione. Che cosa è cambiato di più all’interno di questa manifestazione?

Il Far East Film Festival compie 26 anni e molte cose sono cambiate. All’inizio eravamo giovani, tutto era una scoperta. Detto questo, il Festival si è ingrandito, è diventato un punto di riferimento in Occidente per quello che riguarda il cinema orientale e non soltanto dal punto di vista dei film finiti, inseriti all’interno di una programmazione, ma anche per i progetti dei film che verranno, perché, in questi ultimi dieci anni, il Far East Film Festival ha messo su una sezione industry, che si chiama Focus Asia, che raggruppa produttori asiatici, italiani ed europei che si confrontano su alcuni progetti che saranno i film del futuro. Sono nate coproduzioni che poi hanno avuto la loro vetrina anche in altri festival internazionali, ma il lavoro viene fatto qui, con persone che s’incontrano e possono scambiare conoscenze, visioni. Questo ha fatto sì che il Far East Film Festival sia diventato una piattaforma per il cinema del futuro.

Come è cambiato, invece, il cinema orientale in tutti questi anni?

È una domanda complessa, perché dobbiamo fare tante distinzioni. Per esempio, la scena di Hong Kong è mutata profondamente. Quel cinema che ci ha fatto avvicinare all’Oriente non esiste più. Riteniamo importante lo sguardo che abbiamo sempre dedicato al cinema di Hong Kong, anche per raccontarne quali sono stati gli sviluppi e le trasformazioni. Noi siamo cresciuti con il cinema d’azione hongkongese, ma oggi questo punta principalmente al pubblico della Cina continentale. Mentre, tutto quello che riguarda Hong Kong, la sua cultura, la sua lingua, in questo momento trova spazio all’interno di produzioni che hanno budget più piccoli, ma comunque un supporto governativo, perché ci sono dei fondi che sostengono il prodotto locale e che raccontano il Paese in maniera legata alla realtà quotidiana, situazioni e storie che hanno uno sguardo più realista. Un aspetto del cinema di Hong Kong che rappresentiamo quest’anno: abbiamo invitato nove film da quel Paese, opere nuovissime che hanno avuto un importante successo a livello di pubblico, per cui raccontiamo questo mutamento. È una delle tante trasformazioni di quell’area che abbiamo visto attuarsi sotto i nostri occhi in questi anni.

Quali sono le caratteristiche principali del cinema che vedremo quest’anno al Far East Film Festival?

Non c’è un filo rosso che lega così tante cinematografie, ma ti posso dire che una delle cose più belle e interessanti di questa edizione è lo sguardo dei nuovi registi. Abbiamo parlato di Hong Kong, qui, per esempio, c’è una generazione che sta nascendo: nuovi autori, un nuovo star system che sta crescendo. Sarà molto stimolante incontrare questi giovani registi che stanno salendo alla ribalta. Per quanto riguarda altri Paesi, una cosa interessante è che abbiamo costruito un piccolo focus sull’Indonesia, per cui avremo la possibilità di vedere alcuni classici del cinema indonesiano e nuovissimi film che puntano principalmente sull’horror. Film che hanno riempito le loro sale. Poi, come sempre, le cose più forti arrivano dal Giappone e dalla Corea. Il Giappone ha avuto un anno straordinario, con grandissimi incassi al botteghino. Al Far East Film Festival avremo sia autori che lavorano in maniera più indipendente che produzioni di grossissimo budget, distribuite in tante sale. Per cui mostriamo proprio il contrasto tra quelli che sono due aspetti del cinema giapponese: quello dell’industria e il cinema più autoriale. Posso citarti da una parte Voice, un piccolo film diretto da una donna (una delle dodici presenti all’interno della selezione), e, dall’altra, opere sontuose come Bushido di Shiraishi Kazuya che, finalmente, verrà a Udine quest’anno.

Bushido

Bushido

Come cambia, se cambia, il cinema di genere quando declinato a Oriente, rispetto a quello occidentale? In Italia ne abbiamo una lunghissima tradizione.

Una specificità particolare dello sguardo orientale è sicuramente l’elemento folclorico. Una caratteristica molto evidente, ad esempio, di tanto cinema horror thailandese e indonesiano. Lo vediamo al Far East Film Festival quest’anno, perché c’è un film, tra l’altro uno dei miei preferiti, The Train of Death, che s’ispira un po’ a Train to Busan. È un horror ambientato su un treno. Però, invece di avere a che fare con degli zombie, ci sono dei demoni, che nascono dalla natura che si ribella contro l’umanità, colpevole di aver operato in maniera scellerata, quindi giustificando un elemento di vendetta del demone contro l’uomo. Oltre che essere un bellissimo horror action, veramente molto teso, consegna anche un potentissimo messaggio ambientalista. È una delle cose più sorprendenti, perché non ti aspetti da un horror che sia in grado di raccontarti quell’aspetto del mondo in cui viviamo.

Ci sono dei criteri in particolare che vi hanno guidato nella selezione dei 50 film in concorso?

Il criterio principale è sempre quello di cercare di selezionare bei film. Poi, alla base stessa dell’idea del Far East Film Festival, c’è quella di puntare tutto sul cinema popolare dell’Estremo Oriente. Ma ci permettiamo anche di fare delle deviazioni, quando ci sono film capaci di trasmettere qualcosa in più sull’interpretazione del mondo di oggi. Per cui ci sono casi che non possono essere annoverati all’interno del concetto di cinema popolare o di genere. Uno è il già citato Voice, l’altro arriva sempre dal Giappone ed è Motion Picture: Choke, un film in bianco e nero in cui non viene mai usato il linguaggio verbale. Un’opera distopica con al centro la figura di una donna.

Motion Picture: Choke

Motion Picture: Choke

Quali fra i titoli in concorso al Far East Film Festival quest’anno credi susciteranno maggior curiosità, attenzione, dibattito?

A parte i titoli che ho già citato, sicuramente il film di chiusura, un’assoluta anteprima mondiale: Customs Frontline, diretto da Herman Yau, che è qui presente con altri due film. Cosa che non mai è successa prima, che un autore presentasse tre film in competizione. Un regista di cui abbiamo mostrato quasi tutta la filmografia, proprio tutta no, perché sarebbe un’impresa impossibile, avendo diretto tantissimi film, ma molti li abbiamo presentati qui in passato. Un’altra opera a cui tengo molto è Yolo, il nostro film d’apertura, di Jia Ling, una regista che nasce come comedian in Cina e poi decide di passare al cinema, scrivendo in proprio le sue storie. La cosa divertente di questo film è il fatto che la stessa Jia Ling, conosciutissima in Cina come comica, ha deciso di ingrassare 20 kg per interpretare il ruolo della protagonista di Yolo, per poi dimagrire di altri 50. Alla fine del film, si presenta come una persona completamente nuova e racconta tutto questo processo nell’evoluzione del personaggio. Quindi una fiction, ma con elementi di vita vissuta. Nei titoli di coda, infatti, racconta tutto il processo che ha dovuto e voluto affrontare.

La rassegna Greatest Hits From ‘80s & ‘90s l’anno scorso fu un grande successo e quest’anno ritorna. Su cosa vi siete concentrati in questa edizione?

Abbiamo innanzitutto deciso di riprendere in mano un concetto, cioè analizzare quel decennio, non così lontano nel tempo, ma neanche così vicino. Per cui spesso le retrospettive di altri Festival non lo considerano. La cosa più importante è che, analizzando quel decennio, ci siamo resi conto che tantissimi capolavori sono ancora da riscoprire. È per questo che abbiamo pensato di ritornarci, facendo ulteriori ricerche su questo periodo della storia del cinema orientale. Ci siamo concentrati su alcuni nomi, come Somai Shinji, un autore che viene riconosciuto dai grandi registi di oggi come loro mentore. Abbiamo deciso di raccontarlo attraverso due film, Moving e Typhoon Club. Poi andremo alla scoperta di Suo Masayuki, che ha diretto un film meraviglioso come Shall We Dance?, con Kōji Yakusho, attore che è diventato famosissimo anche in Italia grazie al film di Wim Wenders, Perfect Days. Di Suo Masayuki vedremo anche un film dimenticato, Sumo Do Sumo Don’t, una commedia esilarante, uscita in Giappone nel 1992, che è diventata un film di successo in tutto l’Estremo Oriente. Poi andremo ad analizzare il percorso professionale di Lee Myung-se, un autore diventato famoso in Corea a cavallo tra i due secoli. Mostreremo un film che era uscito anche in Italia, Nowhere to Hide, esempio massimo del suo concetto di noir, e un altro, invece, assolutamente sconosciuto, Their Last Love Affair. Poi ci sono altre chicche, per esempio un film sperimentale di fantascienza cinese, Dislocation, assolutamente da non perdere. E, infine, voglio citare anche un film di Mike De Leon, Third World Hero, e uno di Tony Bui che è sempre stato maltrattato ed emarginato dalla censura in patria, tant’è che non c’è mai stata una vera e propria proiezione in Vietnam di questo film, Three Seasons, una storia ambientata alla fine della guerra vietnamita, con protagonista Harvey Keitel, anche questo assolutamente da non perdere.

Three Seasons

Three Seasons

La collaborazione con il Korean Film Archive è un altro importante tassello nel riconoscimento internazionale del Far East Film Festival e della sua importanza nella divulgazione della storia del cinema asiatico in Italia.

In tutti questi anni abbiamo sempre cercato di avere un partner in ogni nazione asiatica, per poter fare un lavoro di ricerca sul passato di queste cinematografie. Per la Corea del Sud, c’è stata una collaborazione particolarmente stretta con il Korean Film Archive, un’istituzione che lavora approfonditamente sulla catalogazione e la preservazione del ricchissimo patrimonio del cinema coreano. Quest’anno, il Korean Film Archive compie 50 anni di vita. Proprio per celebrarlo, abbiamo deciso di accettare la proposta di mostrare sette capolavori degli anni ‘50 che raccontano alcuni momenti fondamentali di quella storia del cinema. Ad esempio, avremo la prima pellicola diretta da una donna, Park Nam-ok, intitolata The Widow. Poi un altro film punto di riferimento per la generazione che conosciamo meglio, quella dei registi diventati famosi nei primi anni 2000, Madame Freedom, considerato un caposaldo della loro storia nazionale. Un film del 1956, quindi subito dopo la fine della guerra. Un’opera che, all’epoca, ha avuto anche molte critiche negative, perché troppo avanti con i tempi. La cosa bella è che i sette film sono restaurati, quindi si potranno vedere sul grande schermo in tutto il loro splendore.

Ho lasciato per ultimo l’ospite più importante di questa edizione: Zhang Yimou. Che significa per voi averlo a Udine? Quanto è stato importante per la storia del cinema asiatico e per la vostra del Far East Film Festival?

Zhang Yimou è stato il regista che ha aperto la prima vera finestra sulla Cina, perché tutti noi del Far East Film Festival eravamo presenti nel 1991 alla proiezione di Lanterne rosse alla Mostra del Cinema di Venezia. Quel film è stato lo strumento che ci ha iniziati alla Cina, per cui ha un’importanza basilare. Nel corso del tempo, Zhang Yimou si è concentrato su un tipo di cinema che non è esattamente quello che noi mostriamo, però, negli ultimi anni, essendo un autore che ama sperimentare, si è avvicinato proprio a quel concetto di cinema popolare che noi veicoliamo al Far East Film Festival. Per cui, ad esempio, Full River Red è stato, nella scorsa edizione, il nostro film di chiusura. L’anno del Covid, il 2021, abbiamo aperto con un suo attesissimo film di azione, Cliff Walkers, e un bellissimo videomessaggio del regista, che doveva essere presente a Udine in quell’occasione. Abbiamo sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti del suo cinema, quindi, per noi, averlo qui, è come un sogno che si realizza. E, soprattutto, si realizza con un progetto che stiamo portando avanti da molto tempo: il restauro di due suoi capolavori, Lanterne rosse e Vivere, che presenteremo, in versione restaurata, proprio quest’anno al Far East Film Festival, alla presenza del maestro.

Lanterne rosse

Lanterne rosse

Scrivere in una rivista di cinema. Il tuo momento é adesso!
Candidati per provare a entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi drivers