Anno: 2012
Distribuzione: Zaroff – Kimerafilm e Rai Trade
Durata: 88′
Genere: Documentario
Nazionalità: Italia
Regia: Vincenzo Marra
Il gemello è Raffaele, un detenuto di 29 anni che ha trascorso metà della sua vita in carcere. Ora vive a Secondigliano e lavora nella raccolta differenziata dei rifiuti; questa attività gli permette di mantenere la madre e la sorella fuori dal carcere. Lo chiamano gemello perché ha altri due fratelli, tra i quali uno in carcere. Il padre ha cercato di allontanarlo da Napoli e dalle strade che strappano i figli, condannandolo personalmente per evitargli la morte e assicurargli una seconda possibilità.
Le sue giornate passano nella ristrettezza degli spazi, delle stanze, delle parti comuni, nei ritmi cadenzati che lo costringono a pensare giorno dopo giorno alla vita che non ha vissuto.
Con lui i compagni di cella e l’ispettore capo delle guardie, Niko, una persona umana, affabile, che confida con tutto se stesso nella possibilità di un recupero di questi elementi, navi che hanno intrapreso rotte sbagliate, perse nella tempesta.
Militante del documentario d’autore, Vincenzo Marra ribadisce questo affanno del vivere che nel cocente Meridione aveva già incontrato, superando nella sua nuova opera i muri di Secondigliano, e anche, e soprattutto, le chiusure psicologiche e comunicative dei suoi personaggi. Pedinando da vicino i soggetti – e come altrimenti avrebbe potuto fare, in quegli angusti spazi in cui i detenuti sono costretti – con scelte registiche distinte e coerenti, sempre addosso alle spalle di chi controlla, osserva, giudica, e di quelli che, dal canto loro, sopravvivono. L’immagine si fa calda anche negli ambienti algidi del carcere; si integra perfettamente e sapientemente con i muri e le distanze private, con le sbarre e le finestre da cui si spia o si desidererebbe vedere: quanto Marra abbia saputo rendere la forzata interazione tra luogo ed esseri umani è ciò che più rimane, seppure a livello inconscio, del viaggio a Secondigliano.
Ciononostante, la storia de Il gemello è di fondo una vicenda di sbagli e di pene da scontare, di cui i protagonisti parlano con commovente sincerità, nel continuo sforzo di mantenere il legame con l’esterno dall’interno di quel guscio insonorizzato che è il carcere: ma “Come faccio? I guai li ho fatti.”
Si percepisce rovente la mancanza del contatto umano, delle relazioni con il sesso femminile, così come la necessità assoluta di sentirsi utili. Una riflessione nuda e cruda condotta dai protagonisti e obiettivamente studiata da Marra: sui confini della privazione della libertà, sulla convinzione che una rieducazione è possibile e su quale sia effettivamente la strada migliore per poterla completare. Perché la galera la testa della gente la cambia.
Rita Andreetti