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Festival dei popoli

Alessandro Stellino: intervista al direttore del Festival dei Popoli

L'evento più antico d'Europa dedicato integralmente al film documentario.

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Festival dei Popoli

È iniziata la 64esima edizione del Festival dei Popoli, diretto da Alessandro Stellino. L’evento, che si concluderà il prossimo 12 novembre, è inserito nel prestigioso progetto 50 Giorni di Cinema, ideato dalla Fondazione Sistema Toscana. Il Festival dei Popoli 2023 ha un programma davvero ricco. 124 film in programmazione, divisi in diverse sezioni e un parterre di ospiti internazionali davvero eccezionale, come il regista austriaco Ulrich Seidl. Noi di Taxidrivers abbiamo avuto il piacere di incontrare Alessandro Stellino, direttore artistico del Festival Dei Popoli.

ULRICH SEIDL festival dei popoli

Alessandro Stellino e il Festival dei Popoli

Critico e docente cinematografico Alessandro Stellino insegna Storia del Cinema moderno e contemporaneo presso la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti. Autore per il Dizionario del Film di Paolo Mereghetti, Stellino è dal 2020 il Direttore Artistico del Festival dei Popoli, la più importante rassegna cinematografica dedicata al cinema documentario.

Il Festival dei Popoli è un appuntamento tradizionale per la città di Firenze. Fondato nel 1959, ha sempre offerto una programmazione di qualità, proponendo opere del cinema documentario, realizzate lontano anni luce dalle dinamiche della grande distribuzione. Da cosa dipende la longevità di questo festival, che nel corso degli anni è diventato uno dei Festival più importanti a livello internazionale?

È il festival più antico d’Europa dedicato al cinema documentario. All’epoca della sua fondazione non esistevano altri eventi dedicati integralmente al documentario. Erano anni in cui si viveva un contesto differente, si viaggiava poco e il documentario veniva considerato, soprattutto, come uno strumento per conoscere popoli lontani.

In questa fase è ovvio, dunque, che il documentario avesse delle finalità di carattere antropologico ed etnografico. Negli anni Sessanta, con la nascita del cinema diretto, il documentario è diventato altro. Il suo raggio d’azione si è ampliato, anche e forse soprattutto per le scelte stilistiche adottate, le quali divenivano sempre più cinematografiche. La storia del Festival dei Popoli testimonia questa lunga e inarrestabile trasformazione.

Il documentario non è solo un genere. La sua forma è aperta e ciò ha permesso di rendere ogni documentario sempre più ricco di forme espressive. È in questo modo che è diventato un approccio, una vera prassi per raccontare il mondo. Una modalità di fare cinema davvero affascinante che consente di creare materia davanti ai nostri occhi e narrare attraverso i tempi.

Oggi, il documentario riesce ad affermarsi con successo e ciò avviene anche sulle tante piattaforme, le quali, sempre con maggior frequenza, inseriscono nei propri cataloghi opere documentarie. Senza dubbio si tratta di prodotti omologati e confezionati secondo la classica forma d’interviste e immagini di archivio.

Il film documentario

Il Festival dei Popoli, invece, propone opere che definisco a tutti gli effetti cinema. Si tratta di lavori artistici molto creativi e personali. Ciò viene rivendicato nella programmazione, la quale offre oltre cento film e dalle retrospettive dedicati a registi come Pedro Costa e Tatiana Huezo, due cineasti che non possono essere definiti documentaristi tipici, visto che operano in territorio di mezzo, tra finzione e realtà.

Pedro Costa Festival dei Popoli

Lei ha appena tracciato una breve, ma efficace sintesi dell’evoluzione del documentario come espressione cinematografica e ha sottolineato come, giustamente, il Festival dei Popoli, nel corso degli anni, ha testimoniato tale evoluzione. Il documentario, in ogni modo, nasce come una forma neutra per meglio esaltare il racconto del reale. Oggi la ricerca del vero resta un obiettivo fondamentale, ma sono sempre di più i documentari che attraverso la narrazione riescono a emozionare. Dunque, ricerca del vero accompagnata all’arte?

Sì, certo… Credo, però, che l’idea del documentario inteso come testimonianza neutra e oggettiva sia stata sempre estremamente ambigua. Tra i fondatori del Festival dei Popoli c’è Jean Rouch che con i suoi film è sempre riuscito a conciliare la ricerca antropologica e forma artistica.

Una narrazione filtrata dalla soggettività

Il documentario è sicuramente un modo per registrare la realtà. È un racconto al cui centro si trova un evento, una comunità o un singolo personaggio. In ogni caso è una narrazione filtrata dalla soggettività di un regista. Ci tengo a sottolineare, come questa sia una specificità tipica del cinema documentario. È in questo ambito, infatti, che emerge sempre il punto di vista dell’autore e di conseguenza una sua presa di posizione. Questo avviene in maniera potente e molto più evidente di quanto succede nel cinema di finzione. A scanso di equivoci, dunque, il cinema documentario è sempre schierato.

Come ho già ricordato, comunque, è innegabile che si è verificata una trasformazione. Il documentario esiste dalle origini del cinema, anzi nasce con esso e ogni edizione del festival ha raccontato una sorta di stratificazione che si è venuta a formare in più di 100 anni di storia del cinema, in cui il documentario è sempre esistito, diventando anche forza motrice di una nuova terminologia. Basti pensare al Cinema verité, al Cinema diretto, al Cinema del reale, che sono stati capaci di afferrare l’inafferrabile.

Questo nuovo modo di fare cinema documentario nasce in Francia, ma anche l’Italia ha dato un suo personale e prezioso contributo. Per esempio, un film come Anna, realizzato nel 1975 da Albero Grifi, andava nella stessa direzione?

È stato un film cruciale. Penso che la storia del cinema sia fatta di scarti, di artisti molto creativi, ma spesso isolati, come lo è stato Alberto Grifi, il quale non si può certo definire un regista istituzionale. È stato un avanguardista, con le sue scelte ha segnato la strada e senza di lui in Italia non esisterebbe il Cinema del reale.

I 50 Giorni di Cinema

Questa 64esima edizione del Festival dei Popoli si inserisce nell’importante cornice dei 50 Giorni di Cinema. Un vanto che arricchisce ulteriormente un’edizione già ricca di suo?

È un evento che coinvolge l’intera città di Firenze. L’obiettivo è dare spazio al cinema d’autore che spesso è fuori dalle logiche delle grandi distribuzioni. La 50 Giorni di Cinema è già iniziata lo scorso settembre e si concluderà a novembre, ospitando al suo interno diversi Festival di vario orientamento.

L’obiettivo è quello di creare una profonda riflessione intorno al problema della distribuzione, dove tantissime opere vengono bloccate da un filtro estremamente ristretto che riduce di molto la quantità dei film nelle sale. I festival, invece, permettono di agire in campo molto più ampio e a Firenze durante i 50 Giorni si avrà la possibilità di visionare tante opere cinematograficamente con un alto valore artistico, ma purtroppo ignorate dalla grande distribuzione.

Il Festival dei Popoli e la politica

Il Manifesto del Festival dei Popoli 2023 ritrae un’immagine tratta da I misteri dell’organismo di Dusan Makavejev. Un film estremamente politico, come lo è il Festival?

W.R. - MYSTERIES OF THE ORGANISM

Non si può non essere politici in questo particolare momento storico, con tutto quello che sta avvenendo in Italia e nel mondo. I misteri dell’organismo, come tutta l’opera di Dusan Makavejev, è un’opera anarchica, un sberleffo nei confronti del potere. Prendere in prestito quell’immagine è un segnale forte e consapevole. Con questa scelta diventa chiaro quello che vogliamo raccontare durante il festival.

Ci sarà tutto un filone intorno all’evento, ospitato nella sezione Diamonds are forever, che verrà inaugurata dalla proiezione di I misteri dell’organismo. Una retrospettiva, la quale può essere definita come un percorso lungo 60 anni, incentrata sul corpo inteso come luogo di rivolta, di trasformazione e di rivendicazione. Questa tematica diventa un chiaro riferimento a ciò che sta avvenendo nel mondo, sottolinea la forza della sua stringente attualità. È la storia della rivendicazione, con delle radici profonde nel tempo. È stato molto interessante creare questo percorso, riproponendo opere raramente viste e senz’altro da riscoprire.

La politica, comunque, attraversa l’intero corpo del Festival dei Popoli e attraverso i film in programmazione si toccheranno tematiche molto attuali e non si potrà fare a meno di parlare dei conflitti in corso.

Tra le varie opere ospitate al Festival dei Popoli pare che ci sia un filo conduttore: l’immigrazione. È questo senz’altro un argomento politico molto attuale, ma affrontato in maniera atipica e innovativa. Una rappresentazione lontana anni luce rispetto al solito racconto televisivo o da quello degli altri media. È possibile che ciò avvenga anche nel mondo reale?

L’immigrazione al Festival dei Popoli

Come dicevo prima, sono i temi stessi a manifestarsi attraverso la programmazione, la quale viene creata attraverso un duro lavoro di selezione, partito dal vaglio di oltre 1000 opere. A guidare questa laboriosa selezione è stata l’urgenza di riconoscere le necessità più impellenti e sicuramente l’immigrazione fa parte di queste necessità. Questa, però, rappresenta anche una contraddizione dei nostri tempi, tanto segnati dall’idea della globalizzazione, che non riguarda solo il mercato, ma giunge a creare restrizioni e barriere.

C’è un divario sempre più ampio tra ricchezza e povertà e il cinema documentario racconta tutto ciò.

Il Festival dei Popoli ha sempre proposto una programmazione di qualità, tipicamente innovativa e l’innovazione è stata la stella polare anche per la scelta degli ospiti. Quest’anno un parterre internazionale d’avvero eccezionale: Ulirich Seidl, Pedro Costa e Tatiana Hezo. Cineasti ormai affermati e celebri in tutto il mondo, ma non mancano nomi poco conosciti, senza dubbio meritevoli di attenzione.

Ulrich Saidl al Festival dei Popoli di Alessandro Stellino

Avremo registe e registi di grande valore artistico. Il primo è Ulrich Seidl che terrà un’interessante masterclass. Il regista austriaco presenterà la versione speciale del suo ultimo film, Wiked Games Rimini Sparta, un’opera composta da due suoi precedenti film.

Ulirich Seidl è uno dei grandi registi dei nostri tempi, validissimo interprete dei temi accennati prima. Il suo cinema è una visione molto lucida su tutto ciò che appare normale, ma normale non è. Lui riesce a svelare il malessere che si nasconde dietro alle strutture della normalità e dove noi vediamo solo stabilità, Ulrich Seidl riesce a scorgere il deforme. Quest’operazione avviene con una forte dose di cinismo, sempre accompagnato, però, da un profondo senso di umanità.

Tatiana_Huezo_festivaldeipopoli

Tatiana Huezo al Festival dei Popoli

A seguire ci sarà l’incontro con Tatiana Huezo, una regista messicana, purtroppo poco conosciuta in Italia, nonostante il riconoscimento ottenuto al Festival di Berlino, con il suo ultimo film, intitolato El Eco.

Nel corso del Festival dei Popoli verrà presentata la sua filmografia, che è il tipico esempio di cinema della terra di mezzo, tra finzione e realtà. Il cinema di Tatiana Huezo racconta un Messico tormentato dai cartelli della droga e dalla sparizione di donne e giovani.

La regista messicana è una delle nuove rappresentante di un cinema visivamente potente, consapevole della radicalità che possiede per le tematiche proposte.

Pedro Costa al Festival di Popoli

Infine, avremo una retrospettiva dedicata a Pedro Costa, il regista che ha segnato il cinema negli ultimi 30 anni, anticipando molte delle tendenze del cinema d’autore del nuovo millennio. Anche in questo caso verrà presentata la filmografia completa, raccontando il passaggio dalla finzione a qualcosa di molto più radicato nel reale e oltre a ogni codificazione documentaristica.

Con il suo modo di fare cinema, Pedro Costa si affianca al cinema di Dreyer e di Bresson. Come i grandi maestri del passato, anche lui dà molta attenzione agli ambienti, abitati dai suoi atipici personaggi.

Il Festival dei Popoli offre un notevole spazio ai giovani cineasti formatisi nelle Scuole di Cinema sparse per tutta Europa. A loro è dedicata un’intera sezione, intitolata Doc at work, composta da 9 film che ci offrono spunti interessanti su come immaginare il cinema del reale nel futuro. Quali sono le responsabilità di un Festival che offre così tanto spazio alle nuove generazioni?

Essendo un insegnante, vedo l’importanza di creare un ponte tra la formazione e la professionalizzazione. Quando sono stato nominato direttore era uno dei miei obiettivi creare, attraverso il festival, una piattaforma di incontri. Una rete tra giovani professionisti del settore, Doc at work è la prima concretizzazione del desiderio di portare a Firenze, nei giorni del festival, i migliori talenti del cinema documentario internazionale.

LE TARANTOLE DORMONO SOTTO LE PIETRE

Protagonisti sono i giovani

Questa modalità, adottata per il momento solo per la selezione di giovani registi, con il tempo, si potrà estendere a tutte le professionalità del cinema, come la produzione. Così si potrà creare una sorta di rete internazionale multimediale, capace di organizzare gli eventi del futuro.

Il Festival dei Popoli dedica una grande attenzione al mondo dei giovani e Doc at work non è la sola sezione dedicata a loro. Abbiamo previsto, infatti, una seconda categoria, intitolata Kinds and Teens, dove i protagonisti sono i giovanissimi. È giusto unire le due categorie in un unico discorso, perché hanno entrambi come dominante la Formazione. Si tratta di fare alfabetizzazione visiva, portando il cinema documentario nelle scuole, consentendo ai giovanissimi di avvicinarsi al mondo del cinema, in un momento in cui lo stesso cinema li sta allontanando dalla vita reale, con i suoi prodotti commerciali. In questo senso abbiamo un ruolo molto importante da eseguire.

Oggi, i giovani, a differenza delle passate generazioni, sono sottoposti a continui input provenienti dal mondo del web. Social, piattaforme streaming e on demand e per ultimo, ma solo cronologicamente, l’intelligenza artificiale. Questo variegato mondo nato attraverso internet rappresenta una minaccia o potrebbe essere utilizzato come una risorsa per il documentario e in generale per il cinema?

Su questo fronte sono piuttosto positivo. La storia del cinema è una storia di idee, creazioni, ma anche di mezzi tecnologici. Il cinema ha sempre accolto ogni tipo di novità, innestandole nel proprio sistema produttivo e ciò avverrà anche in futuro, sulla base di uomini e donne del futuro. Dunque, si utilizzeranno determinate tecnologie e se saremo capaci, con esse si farà cinema.

Sono preoccupato, invece, da certe logiche di potere dell’industria e questo non cambierà certo con l’avvento di nuove tecnologie. Il cinema andrà comunque avanti, il problema è capire verso cosa. Il progresso tecnologico può essere un prezioso strumento, ma allo stesso tempo può diventare anche una gabbia.

Una comunità intorno al mondo del cinema

Il cinema in questo momento storico sta vivendo una certa rinascita. La ripresa riguarda soprattutto il nostro Paese, dove il pubblico è tornato nelle sale, dopo una profonda crisi dovuta alla pandemia. La ripresa del cinema, però, viene contraddetta da preoccupanti campanelli d’allarme, come gli scioperi degli sceneggiatori e degli attori. Cosa pensa in merito? E quali potrebbero essere le conseguenze per il cinema documentario?

Il documentario è solitamente un cinema che si fa con meno soldi rispetto alla finzione e dunque potremmo definirlo come un cinema povero. E pure, nell’ultimo decennio questa forma è esplosa. Basti pensare ai documentari premiati con prestigiosi riconoscimenti nei festival sparsi in tutto il mondo. Inoltre, c’è un grande interesse e partecipazione da parte del pubblico intorno ai documentari. Sono questi i segni di una grande vitalità vissuti dal genere.

Rispondendo, invece, alla prima parte della domanda, percepisco senza dubbio un dato positivo. La gente è tornata al cinema, le prospettive più nere, avvertite durante la pandemia sono ormai lontane. Ma occorre, comunque, un lavoro di ristrutturazione della programmazione delle sale. Molto è stato fatto, serve, però, un ulteriore sforzo.

La questione degli scioperi è sacrosanta. Al di là dell’intelligenza artificiale, sono le piattaforme ad aver modificato l’assetto del sistema cinema. Lo si percepisce anche lavorando nel mondo dei festival, dove film che sembrerebbero transitare in maniera pacifica, vengono vendute alle piattaforme all’indomani di un loro passaggio in un importante festival americano. In questo modo diventano irraggiungibili per altri. Lo ribadisco, le piattaforme hanno avuto il potere di cambiare tutto. Senza dubbio questo ha scaturito una delle motivazioni principali degli scioperi degli attori e sceneggiatori.

Infine, cosa si augura per questa 64esima edizione del Festival dei Popoli?

Spero che ci sia tanto pubblico e una partecipazione forte. E soprattutto mi auguro mi che questa 64esima edizione crei un dialogo, perché i festival nascono proprio per questo obiettivo. Il nostro è il desiderio di creare una comunità intorno al cinema.

Festival dei popoli 2023: tutto il programma della 64esima edizione – Taxidrivers.it

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