En attendant la nuit (For Night Will Come), esordio nel lungometraggio di finzione di Céline Rouzet, concorre nella sezione Orizzonti all’80a Mostra del Cinema di Venezia, raccontando il rischioso adattamento nell’ordinaria provincia francese di una famiglia che normale non può essere: il figlio maggiore, fin dalla nascita, deve nutrirsi di sangue.
Sulla scia di una fortunata tradizione di film e serie tv che intersecano adolescenza e vampirismo, il film segna anche il notevole debutto di Mathias Legoût-Hammond nel ruolo dell’ombroso e romantico protagonista.
Sinossi
Anni Ottanta. Tra le montagne francesi, in mezzo a paesaggi incontaminati, sorge il villaggio di una pacata comunità agiata, dove si è appena trasferita la famiglia Feral, composta dal padre Georges (Jean-Charles Clichet), dalla madre Laurence (Élodie Bouchez), dalla piccola Lucie (Laly Mercier) e dal figlio Philémon (Mathias Legoût-Hammond). Quest’ultimo per natura è costretto a nutrirsi di sangue di viventi e a rifuggire la luce del sole.
I genitori e la sorella proteggono il suo segreto sviando qualsivoglia sospetto, mentre la madre infermiera, fornisce al ragazzo sacche di sangue sottratte al centro trasfusionale. Quando però nel nuovo sobborgo Philémon si innamora, ricambiato, della coetanea Camila (Céleste Brunnquell) attirandosi le invidie di un branco di bulli, gli equilibri sociali si sfaldano e le identità proibite vengono svelate, attirando le cattiverie represse della linda comunità.
Batmen festivalieri
Pur senza mai pronunciare la parola ‘vampiro’, En attendant la nuit mette in scena un personaggio catalogabile senza ambiguità nelle coordinate culturali che hanno definito in letteratura e al cinema una figura eterna, simbolica, poliedrica, transmediale, di inesauribile fascino e fantasia, specchio di ogni contemporaneità, che afferma la sua forza espressiva anche in questa edizione della Mostra del Cinema di Venezia e in più sezioni.
Se nel concorso ufficiale, infatti, è candidato al Leone d’oro El conde di Pablo Larraín, dove il dittatore Pinochet viene rappresentato come un vampiro, alla Settimana Internazionale della Critica è stato proiettato The Vourdalak, omaggio a un cinema d’altri tempi attraverso una storia vampiresca.
A Céline Rouzet, con alle spalle un documentario sulla Papua Nuova Guinea presentato nel 2021 al Bergamo Film Meeting e intitolato 140 km a ovest del paradiso, spetta il compito impervio di inserirsi in un immaginario con creatività rinnovata, sull’asse della dimensione teen su cui si muove il suo protagonista, tra i meandri scoscesi del coming of age, con i noti antecedenti di prodotti popolari di Buffy e di Twilight , di pregevoli pellicole di risonanza come Lasciami entrare, di serie tv recenti come First Kill, targata Netflix.
Paris, Texas
Con En attendant la nuit la regista sceglie di sovrapporre il modello figurativo dello slasher statunitense (strade isolate notturne, sonnacchiosi quartieri residenziali, natura selvaggia, gang di provincia) alle istanze antiborghesi che soggiacciono da sempre nel cinema francese, tenta di innescare in una produzione nazionale la riproducibilità degli stilemi dell’horror giovanilistico d’oltreoceano, seppure attenuati da un andamento drammatico più intimistico e meno cruento, dal rifiuto della suspense, da una maggior indagine sulle relazioni all’interno del nucleo famigliare
A tale proposito ha dichiarato Céline Rouzet:
Prendiamo un sobborgo tranquillo e soleggiato in Francia. Famiglie normali in una città normale. Giardini verdi. Grigliate gioiose e musica gradevole. Volti sorridenti. Aggiungiamo i nuovi vicini. Il figlio è strano, timido e di una bellezza inquietante. Un pallore malaticcio. Mescoliamo il tutto con il furto, la menzogna e i morsi, e vediamo cosa succede.
La non casuale collocazione negli anni Ottanta (pur senza un gusto rievocativo filologico) si presta ad attivare talune marche visive dell’horror di quegli anni e in particolare il ricordo dello spettatore va a Il buio si avvicina di Kathryn Bigelow, dove il vampirismo più cupo e torbido confinava anche con il genere western. I personaggi del film di Céline Rouzet amano invece guardare La notte dei morti viventi e L’esorcista, come a voler confinare la diversità di Philémon con altre creature delle tenebre, con altri esseri partoriti dalle paure più inconsce: le crepe che affossano la coltre moralista della società.
L’incubo della notte senza fine
Sul volto emaciato e lunare di Philémon, sul suo fisico slanciato e dimesso dalla gestualità nervosa, che si trascina languidamente nelle relazioni tra pari e si affaccia con timida inadeguatezza all’universo femminile, stazionano la paura dell’iniziazione alla sessualità, l’ansia del conformismo, le negoziazioni con il mondo adulto, i compromessi con la propria identità di fronte al tribunale degli altri, un atavico senso di colpa. Ma anche la pretesa di un sentimento assoluto, la voracità dell’amore più puro, lo spirito dil sacrificio nella dignità per se stessi.
E più che mai i versi di La nuit n’en finit plus di Petula Clark che fa parte della colonna musicale aderiscono alla frantumazione dei desideri di Philémon, alla sua evoluzione sospesa e abortita tra notte e alba, tra una sensibilità aliena e alienante e l’anelito a essere “fuori da sé” alla luce di una rinascita:
Quand je ne dors pas/ La nuit se traîne/La nuit n’en finit plus/Et j’attends que quelque chose vienne/Mais je ne sais qui je ne sais quoi/ J’ai envie d’aimer, j’ai envie de vivre/Malgré le de tout ce temps passé.
Il non detto e il già visto
Con una regia salda e tersa Céline Rouzet trova l’acqua della vita nel suo interprete esordiente, Mathias Legoût-Hammond, sul cui volto angelico e inquieto al contempo come un novello River Phoenix si fa risaltare forse l’unica carta giocabile del film, il disagio del ‘diverso’ nel suo ventaglio emotivo tra purezza e desiderio, tra emancipazione e inclusione, sulle soglie ostacolate dell’amore (anche famigliare). D’altronde, il nome di Filemone sia nel mito greco che nella letteratura cristiana è associato alla necessità dell’accettazione del prossimo, dell’altruismo più disinteressato.
Ma pur nella tenerezza dei toni e nella sincerità di scrittura, En attendant la nuit resta imprigionato in schemi di genere consolidati, in metafore troppo immediate nella loro leggibilità, in una scansione narrativa prevedibile, nella già metabolizzata denuncia dell’ipocrisia e dell’insensibilità del ceto medio verso gli scarti della normalità. Resta il profilo di un personaggio scabro ed empatico, che più che i codici estetici dell’horror vampiresco pare incarnare meglio l’esprit autunnale e maledetto alle soglie degli anni Novanta, con un effetto nostalgia a cui gradevolmente abbandonarsi.