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Editoriale

La sessuofobia dello star system e il caso Kevin Spacey

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Kevin Spacey, due volte premio Oscar, è stato assolto nel processo svoltosi a Londra dalle accuse di “aggressione e violenza sessuale”. La Corte ha, infatti, rigettato le accuse rivolte contro l’attore americano descritto dai suoi accusatori come “un predatore viscido, disgustoso e spregevole.”

Un ennesimo processo a sfondo sessuale, nel quale è coinvolto un noto personaggio del cinema ma una vicenda che è completamente diversa da “l’affaire Harvey Weinstein”, scandalo che ha messo il dito nella piaga su quegli orchi che, grazie al loro potere egemonico, costringevano le attrici a piegarsi ai loro malsani piaceri, pena l’esclusione da film e serie tv. Una pratica, a dir il vero, purtroppo antica, sempre presente negli Studios.

Il ricordo di Annabelle Charpentier

Darryl F.Zanuck era veramente un mandrillo. Una volta Alice Faye, per sottrarsi alle sue avances, è dovuta fuggire da una finestra. Con me tenne sempre le mani a posto, forse perché intuiva che dal mio atteggiamento non c’era troppo da scherzare. Una volta entrò nel suo ufficio un’attrice. Ad un certo punto la chiamò dietro la sua scrivania per mostrarle qualcosa, si sbottonò i pantaloni e le disse: “Non male per un piccoletto, vero?” Per lui le donne erano come tazzine di caffè. Ad una certa ora del pomeriggio ne mandava a chiamare una nel suo ufficio, per le mansioni… che puoi immaginare.”

Come ricorda Tippi Hedren

“All’inizio non mi resi davvero conto. Ogni volta che parlavo con un maschio del cast o della troupe il mio scambio successivo con “Hitch” era glaciale. Capitava che mi raccontasse una barzelletta oscena e offensiva e che mi criticasse senza ragione. Lo faceva al mio fianco sulla sua limousine, guardandomi negli occhi, ricordandomi chi era il padrone. Un giorno, nella stessa limousine provò a baciarmi gettandosi su di me. Lo spinsi via e schizzai fuori. Le cose peggiorarono quando in un angolo del set mi chiese di toccarlo. Non potevo raccontare tutto questo a nessuno. Erano i primi anni Sessanta, molestie sessuali e stalking erano parole che neppure esistevano. In ogni caso si trattava di Alfred Hitchcock, una delle superstar della Universal, e io ero solo la fortunata modella bionda che aveva salvato dall’anonimato. I miei continui rifiuti lo portarono alla vendetta: durante una scena in cui venivo attaccata da una moltitudine di gabbiani e corvi, all’interno di una stanza, non fece interrompere la sequenza, portandomi ad un esaurimento nervoso che mi costrinse ad un ricovero in ospedale per tre giorni. Le sue pesanti avance, le sue proposte oscene, i suoi continui inviti a cena, continuarono sul set di Marnie, infliggendomi la sua ossessione, arrivando al punto di regalare a mia figlia, di sei anni, Melanie, una bara in miniatura con una bambolina infilzata da degli aghi. Al termine del film, guardandomi direttamente negli occhi, mi disse: “Rovinerò la tua carriera”. Gli feci l’irreparabile torto di rifiutarlo, forse mi aveva rovinato la carriera, ma era in mio potere impedirgli di rovinare la mia vita.”

Il movimento “me too”

Va da sé che, in un’era dove non esistevano i social, era più difficile far circolare e diffondere una notizia. Oggi, il fenomeno “me too” ha ottenuto in un lampo l’interesse dei media, anche per il coinvolgimento di attrici note al largo pubblico come Asia Argento, Uma Thurman, Gwyneth Paltrow e tante altre che hanno accusato Harvey Weinstein dei suoi crimini.

La sessuofobia dello star system e il caso Kevin Spacey

A mio parere,  il “caso Kevin Spacey”, assume dei contorni complessi. Da un lato c’è la “caccia” al personaggio noto da “incastrare” e dal quale poter spillare una montagna di quattrini. Il caso Cristiano Ronaldo, è finito in una bolla di sapone, perché l’asso portoghese, seppure considerato colpevole, ha sborsato una montagna di dollari per tacitare la donna che l’ha accusato di averla violentata. Lo stesso discorso potrebbe essere valido per il “caso Spacey”.

Dall’altro la vicenda nella quella è rimasto coinvolto il famoso attore americano lascerà delle zone d’ombre. Probabile, infatti, uno strascico di polemiche perché Spacey è stato accusato da un aspirante attore di aver approfittato del suo ascendente. L’attore si è difeso, proclamando che  si trattava di rapporti “consenzienti” tra adulti. Non ci resta da credere, a questo punto, nella bontà decisione della Corte che ha emesso la sentenza dopo cinque giorni di dibattimento.

Sta di fatto, che lo star system, giudicandolo colpevole, aveva già cancellato il nome di Spacey da diverse produzioni.

Nonostante siano ormai legalizzate le love-story tra i gay che possono unirsi in matrimonio, ancora oggi impera una concezione sessuofobica nella nostra società. Non si sono ancora spenti gli echi del matrimonio di facciata con Phyllis Gates, al quale dovette piegarsi nel 1955 Rock Hudson per allontanare i sospetti della stampa pettegola sulla sua omosessualità.  Viviamo in un’epoca nella quale la sessualità non è vista come gioia e liberazione, ma ancora come un “peccato” da consumare in gran segreto tra le quattro mura domestiche. Puntare i riflettori su un personaggio famoso e “incastrarlo” significa ancora oggi, in un’epoca dove avanza, inarrestabile, la “generazione fluida”, rimarcare, a mio avviso, il concetto della sessualità come “colpa” e  “peccato”.

Al di là di presunte riflessioni di stampo sociologico, come cinefilo, credo sia importante che la sentenza londinese ci restituirà un grande attore che, merito anche di Franco Nero, che l’ha voluto nel suo ultimo film L’uomo che disegnò Dio, non aveva ancora dato l’addio al cinema.

 

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