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Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro

Pesaro Film Festival, ‘Exhibition’ di Mary Helena Clark: immagini allo specchio

Una modella svedese spora il muro di Berlino, una suffragetta sfregia la Venere di Velazquez: tramite due cenni biografici e miriadi di citazioni, il corto dell'artista newyorchese propone una complessa riflessione su immagini, oggetti e riproducibilità dell'opera d'arte

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Exhibition

Quando un film, anziché terminare coi titoli di coda, finisce con una bibliografia, se ne può ben cogliere la natura intellettuale. È il caso del cortometraggio Exhibition in concorso alla 59esima edizione della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, a firma dell’artista newyorkese Mary Helena Clark. Opera filmica, ma che esibisce una natura pressoché saggistica. E che, in ossequio alla man che ubbidisce all’intelletto della propria cineasta, inclina in realtà alla videoarte concettuale: tutto semiotica, riferimenti cerebrali, collage storico-visivi, manipolazione di immagini e un fascinoso riciclaggio archivistico al montaggio, scandito su rumori di fondo dalla monocorde voce sovrimpressa di Audrey Wollen e da colonna sonora traspirante (Eva-Maria Houben, Breath for Organ).

Per parlare di che? Ottima domanda. Non a caso, al Festival di Berlino 2023 era stato proiettato nella sezione Forum Expanded, adatta a sortire discussioni ed espandere la mente. E sempre non a caso, la regista cita tra le proprie influenze Marcel Duchamp, maestro del nonsenso calibratissimo e provocatorio di Dada e dintorni.

Exhibition: foglio di sala

Se dovessimo sintetizzare, si parla – o meglio, si allude alla lontana – al concetto di opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica (sì, ci porteremo dietro le riflessioni di Walter Benjamin ancora per qualche secolo). Più precisamente, l’autrice si riferisce all’analog hole, una vulnerabilità propria del diritto d’autore che riguarda il film, prodotto destinato a essere visto, ma che una volta mostrato si presta a essere riprodotto senza limitazioni d’accesso. Ma tenetevi forte, di tutto ciò si parla con una strategia del blob che, in mezzo a schegge di testi e segni, lascia emergere nelle due parti del corto altrettanti filoni narrativi: quello di una modella svedese che sosteneva di essere sposata al muro di Berlino (sic!) e quello della suffragetta Mary Richardson, che sfregiò la Venere allo specchio di Diego Velázquez alla National Gallery di Londra. Per chi voglia sposare la causa di capirci qualcosa in più, ci abbiamo provato.

(Dis)orientarsi nella trama di Exhibition, ammesso che esista

Utilizzando immagini d’archivio e di opere d’arte e facendo del film un contenitore da esposizione, Exhbition di Mary Helena Clark tesse fili di diverse biografie e incastra frammenti di testo per costruire un unico soggetto immaginario.

Eija-Riitta Eklöf-Berliner-Mauer era una modella svedese che sposò il muro di Berlino e trasformò la propria casa in un museo di miniature architettoniche per esorcizzare il proprio desiderio di quegli oggetti. Fu infatti inventrice del concetto di sessualità degli oggetti, intesa come l’attrazione sessuale verso cose inanimate. A suo dire, il Muro di Berlino ricambiava (ingaggiò un animista per interrogare il muro e fargli dire il sospirato “sì”). Si considerò vedova alla caduta del muro nel 1989.

Mary Richardson colpì con un’accetta la Venere allo specchio (o Venere Rokeby) di Diego Velázquez come atto di protesta da dedicare a una suffragetta incarcerata: “La più bella donna raffigurata sulla tela non valeva nulla rispetto alla morte di una donna in prigione”.

Venere allo specchio

Diego Velázquez, Venere allo specchio, 1644, olio su tela, Londra, National Gallery

Passando alla narrazione in prima persona, il racconto combina poi citazioni della pittrice Agnes Martin, i primi studi di tracciamento oculare, la storia del caso dell’uomo dei topi di Sigmund Freud (la nevrosi ossessiva di un signore che aveva attribuito dei significati simbolici ai topi) e il resoconto dell’uso improprio quale portacandele di una bottiglia di Klein (una superficie non-orientabile, in cui quindi non possiamo distinguere fra interno ed esterno). Disorientamenti a parte, Exhibition si districa così in 18 minuti e mezzo tra mezze concettualizzazioni e suggestioni coscientemente irrisolte.

Il buco analogico e le analogie che riempiono il buco

La sensazione finale è quella di un buco. Beninteso: non nell’acqua. L’operazione artistico-cinematografica, rispettabile e presuntamente avanguardistica, si protende al completamento di senso da parte dell’osservatore, sia pure nel rigore della cornice concettuale creata dall’artista. Nel tentativo di dare una forma regolata al risultato, tipicamente postmoderno, di frammenti organizzati, il primo riferimento di un’ipotetica guida alla visione per lo spettatore è di tipo metodologico: riflettere sul reimpiego delle immagini. Espropriate della funzione originaria e ricontestualizzate in un mosaico di ready-made, le immagini liberano energia, sviluppano senso, rigenerano pensiero.

Ciò che si perde in fedeltà visiva, si riguadagna nell’atto d’amore di ricreare

Fuori dal piano estetico, tuttavia, in termini di legislazione del diritto d’autore nel campo del cinema a generarsi è la falla nota come analog hole: un segnale digitale, una volta convertito in analogico, è suscettibile di riconversione digitale in un formato non protetto.

Due schermi in una stanza semibuia di un museo

List Projects: Mary Helena Clark, 2019, MIT List Visual Arts Center, Cambridge MA. La regista non è nuova a indagini sullo statuto delle immagini e sulla riproducibilità delle stesse

I nostri sensi sono “analogici”, quindi, prima di poter essere visto a ascoltato, qualsiasi media digitale deve essere convertito in analogico, diventando fatalmente ricopiabile.

Se puoi percepirlo coi sensi, puoi copiarlo.

Di fatto, introiettando nel contenitore-film immagini e lacerti artistici, la Clark attraversa il suo stesso fondamento concettuale, mostrando operativamente un caso di immagini ricombinate e riprodotte. Più che di analog hole, bisognerebbe parlare di analogy full: un pieno di analogie, che scaturiscono dal riuso di materiali visivi.

Un bella idea barocca

Ma dove para l’azione ricombinatoria di Exhibition? Qui il secondo riferimento utile per la digestione del corto, questa volta sul piano del contenuto. A scanso di equivoci, meglio riprendere le parole della regista stessa in un’intervista rilasciata a Jan Felix-Wuttig, quando spiega di essere stata attratta dalle storie di Eija-Riitta Eklöf-Berliner-Mauer e Mary Richardson in quanto casi di donne che hanno avuto interazioni del tutto con gli oggetti non inquadrabili in alcuna categoria. Per intenderci: non ci si sposa con un muro; non si colpisce un dipinto con un’accetta. Il film stimolerebbe quindi

uno sguardo attivo volto a complicare certe idee prefissate circa il rapporto tra soggetto e oggetto.

Guardare diversamente alle cose – quella che la regista chiama “scivolosità delle immagini” – pone in un rapporto più fluido e creativo col mondo, mette in uno stato di perenne reinvenzione della realtà.

Quello della Clark è pertanto un impegno analitico sulle immagini da rendere fiero Velázquez. Il Velázquez barocco che riflette sul senso pittura e della raffigurazione artistica, quello della Venere allo specchio, ma soprattutto de Las Meninas (bibliografia al volo: sul dipinto, leggere il saggio di Michel Foucault contenuto in La parola e le cose, 1966). Non a caso, forse, il corto potrebbe sapere vagamente di astruseria barocca, di concettismo senza colori.

Discorso accessibile ai più? No, dunque. Tanto l’arte non è mai stata democratica. Metà del pubblico è tagliata fuori (effetto collaterale dei corti sperimentali). L’altra metà dovrà essere appassionata di metacinema o filosofia per capirne qualcosa in più. E, naturalmente, dovrebbe andare in biblioteca per approfondimenti bibliografici. Agli scaffali l’ardua sentenza.

Taxi Drivers è media partner della 56esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.

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Exhibition

  • Anno: 2022
  • Durata: 19'
  • Genere: Sperimentale
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Mary Helena Clark