Per chiunque abbia avuto la fortuna, oggigiorno sempre più rara, di ammirarlo sul grande schermo, On the Silver Globe non può che rappresentare un’esperienza visiva unica nel suo genere. Capolavoro di Andrzej Żuławski rimasto incompiuto per il deleterio intervento della burocrazia comunista polacca, rattoppato dall’autore stesso con stranianti sequenze estranee al copione, a distanza di diversi anni dalla così brusca interruzione delle riprese, per poter essere comunque proiettato in pubblico, questo kolossal visionario e imponente se portato regolarmente a compimento avrebbe riscritto con ogni probabilità la storia del cinema di fantascienza; andandosi magari ad incastonare, nell’immaginario collettivo, in una nicchia tra pietre miliari parimenti prodotte dall’altra parte della Cortina di Ferro, come Solaris e Stalker del russo Andrej Tarkovskij.

Preziose scoperte cinefile al RIFF 2022
Invece le cose andarono diversamente. Purtroppo. Ma ciò che resta di quell’ambizioso progetto cinematografico conserva in ogni caso un enorme valore. Già grati al RIFF per le due proiezioni dell’eccentrico, sfortunato cult movie regalate al pubblico, lo dobbiamo essere anche per aver inserito in cartellone Escape to the Silver Globe di Kuba Mikurda: ossia il documentario, recentemente realizzato in Polonia, che attraverso una forma spigliata e accattivante, ma non per questo priva di rigore filologico, ha provato a raccontarne la travagliatissima genesi. Riuscendo nell’intento da un duplice punto di vista. E cioè per la capacità di creare una forte tensione emotiva, al momento di riassumere sia la burrascosa biografia di Andrzej Żuławski che le esperienze accumulatesi intorno a quel set, finito inopinatamente nel mirino dei burocrati di partito. Ma riuscita è pure la partitura di un documentario avvincente anche sul piano formale, caratterizzato da un montaggio incalzante e da sottolineature pop che non stonano mai col contesto.

La sottile satira dell’intro
Insomma, se la ricerca dei materiali d’archivio, il loro utilizzo e le interviste raccolte (particolarmente intensa la testimonianza del figlio del regista) di sicuro non deludono le aspettative, venendo incontro alle tante curiosità dello spettatore, lo stesso si può dire della parte più creativa del film, della cornice creata per l’occasione. A cominciare senz’altro dall’intro. Sui titoli di testa, ritmati dalla musica così evocativa del compositore Stefan Wesołowski, compaiono infatti “cartoline” piuttosto rappresentative della vita nella grigia Polonia del “socialismo reale”, rivisitate in un ardito collage che vede comparire beffardamente i personaggi di On the Silver Globe. Indubbiamente “alieni”. Figli dello Spazio profondo. Ma indissolubilmente legati, non per loro scelta, a quella determinata esperienza politica e – soprattutto – alle spietate, spesso anche meschine forme di censura che vi venivano applicate.

Andrzej Żuławski in primo piano
Altrettanto elegante, appropriata, è quella costruzione ad anello, per cui nel film si parte da alcune datate scene che riprendono Andrzej Żuławski dietro la macchina da presa, per poi chiudersi con un emblematico fotogramma di quella stessa, vibrante ripresa, il tutto inframezzato peraltro dalle battute finali della nota sequenza finale di On the Silver Globe; laddove il regista, dopo aver raccontato allo spettatore il triste epilogo di una produzione cinematografica interrotta per decisioni politiche, si svelava allo spettatore attraverso la propria immagine riflessa in strada da una vetrina.

La formazione, i successi, la censura e il traumatico abbandono del set
In mezzo vi è non soltanto la ricostruzione di quanto avvenne presso quel set ma anche una ricognizione non superficiale del vissuto di un grande, eccentrico autore, spentosi purtroppo a Varsavia nel 2016. Escape to the Silver Globe fa emergere bene sia il Żuławski artista che il Żuławski uomo. I suoi rapporti con la Francia intensi sin dall’infanzia, per via della particolare posizione occupata dal padre, diplomatico. La fondamentale esperienza di assistente alla regia di Andrzej Wajda. Il sospetto con cui veniva guardato in patria, con quell’aria da dandy e una bellezza non comune, spesso accompagnato da donne altrettanto affascinanti; come quelle con cui si unirà, nel corso della sua vita, in relazioni intense ma anche tormentate. E poi il rapporto ancor più problematico con il potere: un contrasto già evidente dalla prima volta in cui dovette rifugiarsi in Francia, per poter continuare a lavorare, dopo che una pellicola provocatoria come Il diavolo (1972) aveva scatenato le ire dei censori. Memori di questo episodio, avendo rivisto di recente On the Silver Globe cogliendone tutta l’irriverenza di fondo, ritenevamo, forse ingenuamente, che lo sfregio ancor più grave delle autorità nei confronti di questo film fosse dovuto sempre a motivi contenutistici, ideologici. Il bel documentario di Kuba Mikurda ci pone invece di fronte a una storia in parte diversa, ma ugualmente rivelatrice delle storture in atto nella Polonia comunista. Żuławski era stato infatti riaccolto in patria, dopo i successi francesi, con tutti gli onori e con la volontà di affidargli una produzione importante, proprio durante quella breve stagione di aperture politiche e culturali che aveva coinvolto anche quel settore, verso la metà degli anni ’70, consentendo al cinema polacco di primeggiare nel mondo attraverso alcuni titoli passati alla Storia. Sfortuna volle, però, che la sopraggiunta crisi dell’economia socialista e i patetici tentativi di mascherarla spinsero il regime a una brusca sterzata, incarnata da sgraziati burocrati come il neo-eletto Ministro della Cultura, Janusz Wilhelmi, intenzionato a mandare un segnale forte ai cineasti polacchi. Un monito verso chiunque non si attenesse alle indicazioni di maggiore austerità del governo. A lui si deve quindi la traumatica chiusura del set, il primo giugno 1977. Un villain in piena regola, questo Wilhelmi, al quale il documentario (ma soprattutto la vita) ha voluto poi regalare un’uscita di scena a dir poco clamorosa: l’uomo che aveva causato così gravi danni esistenziali e professionali a Żuławski perì infatti nell’ incidente aereo in qualche modo predetto da uno sciamano, incontrato dal regista stesso in Africa, episodio da lui successivamente confermato in televisione! Frammento di natura “misterica” da non sottovalutare. Soprattutto per chi crede nel Karma.
