Con Rue Garibaldi, Federico Francioni smitizza la fuga giovane dall’Italia all’estero in un diario tra materia e pensiero denso di realismo e poesia nella verità che lascia.
L’immigrazione occidentale, che effetto fa? Cosa si prova veramente ad espatriare? Cosa attende realmente un giovane tra desideri, riscatto, voglia di cambiamento?
Rue Garibaldi racconta un disvelamento. Ci mette davanti agli occhi la difficoltà di mettere radici in una terra altra. Ci mostra cosa significa stare in ‘frontiera’: la lingua che non si conosce, un lavoro da trovare, una casa da abitare e mantenere.
Ines e Rafick Hackel sono giovani Italiani di seconda generazione. Sono partiti dalla Sicilia per avere una possibilità, la loro possibilità esistenziale. La prima a lasciare l’Italia è stata Ines. ” Per provare, tanto posso sempre tornare a casa”, ma aggiunge: “Dentro di me sapevo benissimo che non si può tornare indietro”. Rafick la segue poco dopo.
Uber è stato come il servizio militare
Dormire in macchina tutta la notte, col freddo che ti si attacca addosso. Un anno passato così. Questa è l’iniziazione di Rafick alla ‘frontiera’, alla Francia. Così ha imparato una nuova lingua.
Una materia visivamente semantica
Rue Garibaldi mappa l’altrove, la sospensione, innanzitutto dentro il luogo fisico rifugio, contro un reale che delude, sfianca, non garantisce alcuna certezza. I pochi metri quadri di una casa in affitto, a cui i due fratelli si aggrappano e vivono il loro tempo mentale. La macchina da presa ne prende possesso, ritagliando un’interazione singola, comune. La nudità di alcuni suoi angoli marchia un essenziale che impedisce di riempirla, quella casa, testimone più di chiunque altro delle cadute dei due giovani. Della loro attuale sospensione.
Ines, dopo una ingannevole ed umiliante ‘gavetta’, non riesce più ad uscire, a rimettersi in gioco per trovare lavoro. Passa le sue giornate a casa, ad incoraggiare Rafick, confuso dietro miraggi precari. L’obiettivo, adesso, è la sopravvivenza: lontano dalle aspettative di ricchezza e benessere di cui sicuramente aveva riempito i suoi sogni. Ha la mani bruciate dalle patatine che frigge nel suo stage in un fast food, le scarpe e i pantaloni sporche di merda nello spurgo di canali, edifici. Ha perso la rotta.
La finestra, da cui la lontana Torre Eiffel e la sua luce scintillante appare, marca una barriera, una separazione, un’illusione.
A tu per tu con noi, con l’interlocutore
L’approccio con cui Federico Francioni sceglie di raccontare Rue Garibaldi è bilaterale. I due protagonisti dialogalo con lui e con noi insieme. Questa simbiosi tra il narrante e il narrato appare, improvvisa. Spiazza nel superamento di quel confine, e nel ritrarsi poco dopo, lasciando Ines e Rafick alla loro quotidianità, ai loro problemi, alle piccole gioie, alla propria solitudine, alla ricerca della loro identità. Questa bilateralità è riflettente, mettendo davanti agli occhi dei ragazzi il rapporto tra se stessi e lo spazio che li contiene: il dentro e il fuori della loro vita. Pare ne prendano più coscienza, consapevolezza. Noi spettatori siamo nel mezzo di questo racconto, a cogliere le rispettive suggestioni: visive, stilistiche, emotive, sociali. Rue Garibaldi è anche una feroce denuncia sociale. Di una globalizzazione perdente pure nell’illusione di poter concedere la possibilità di costruire un futuro altrove, con le proprie forze, a chiunque voglia provarci.
Postilla
Scopriamo Federico Francioni, un giovane autore, diplomato alla sede del Centro Sperimentale di Cinematografia in Abruzzo, già fattosi apprezzare nei suo esordi:
Tomba del Tuffatore (2016), mediometraggio di Federico Francioni e Yan Cheng selezionato in numerosi festival italiani e premiato al 35simo Bellaria Film Festival.
The First Shot (2016) Miglior Film al concorso internazionale della 53sima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Primo lungometraggio di Federico Francioni e Yan Cheng.