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Gianfranco Piccioli, produttore di Nuti, Citti, Ferrario, ecc.

In memoria di Gianfranco Piccioli (1944-2022), coraggioso produttore che nel suo percorso professionale ha spesso scommesso su progetti bizzarri, purtroppo non sempre tramutatisi in successo

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Gianfranco Piccioli

Se ne è andato un altro pezzo importante del cinema italiano. Probabilmente per molti è un nome sconosciuto, o peggio ancora dimenticato, ma il regista e produttore Gianfranco Piccioli (1944-2022) è stato fondamentale per il cinema nostrano tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Novanta.

L’altisonante aggettivo “fondamentale” non vuole essere l’usuale incensamento necrologico, ma è un attributo oggettivo, scorrendo la sua carriera come produttore. Certamente si potrà dissentire sulla qualità di molte realizzazioni; però gli va dato il merito di aver prodotto da indipendente, in tempi di crisi cinematografica italiana, pellicole spesso originali che hanno avuto un giusto riscontro di pubblico.

Spesso le sue produzioni sono state vere e proprie scommesse. Basti pensare al suo esordio con Sergio Citti; alle chance date a Davide Ferrario (che veniva da due insuccessi clamorosi) e Maurizio Ponzi (che trovò la quadratura registica con le commedie); o all’aver fatto esordire come regista il comico Alessandro Benvenuti.

E ancor più importante il sodalizio con Francesco Nuti, iniziato quando l’attore toscano era l’interprete stralunato della “trilogia” di Ponzi, e poi passato dietro la macchina da presa, sfornando ben cinque commedie che raggiunsero sempre la vetta del Box-office, anni prima dell’altro toscano, Roberto Benigni.

Gianfranco Piccioli

Gianfranco Piccioli, regista

Prima di passare alla produzione, Gianfranco Piccioli è stato un regista. Una carriera composta da soltanto tre pellicole, diciamo non proprio indimenticabili, che seguivano il corso del tempo, inserendosi in generi già consolidati.

Doppio a metà (1972), poi rititolato con il più accattivante Le ultime ore di una vergine, è un tardivo film post sessantottino, sulla scia di Blow Up (1966) di Michelangelo Antonioni, con alcuni elementi gialli e un tocco di erotismo: i nudi di Sydne Rome.

Il fiore dai petali d’acciaio (1973) lascia da parte le argomentazioni socio-politiche contestatarie e si inserisce direttamente nel giallo tracciato da Dario Argento, come rievoca chiaramente il titolo, e nelle analisi psicologiche morbose di Umberto Lenzi; non a caso c’è Carroll Baker, attrice feticcio in ben quattro film di Lenzi.

Puttana galera! (1976) è sicuramente la sua regia più riuscita, perché è una commedia che mescola il Prison movie con il Caper Movie, con il gruppetto di ladri non dissimile da I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli. Ha molti limiti nella realizzazione, ma a differenza delle opere precedenti non si prende sul serio.

Questa ultima regia ricopre un ruolo importante nella carriera di Piccioli, perché è sul set, in cui recita Franco Citti, che conosce Sergio Citti, di cui produrrà ben tre film. Sergio Citti, sebbene non accreditato, farà in post-produzione da consigliere su alcuni aggiustamenti di colore e doppiaggio.

Sarà lo stesso Gianfranco Piccioli a ricordalo nell’intervista contenuta nel libro Sergio Citti – Lo «straniero» del cinema italiano (2007) a cura di Maurizio De Benedictis.

Gianfranco Piccioli

Gianfranco Piccioli, produttore

Messa da parte la poco feconda carriera di regista, è come produttore che Gianfranco Piccioli trova la sua perfetta dimensione. Una professione iniziata con Casotto (1977) di Sergio Citti e terminata con I calcianti (2015) di Stefano Lorenzi. In totale 36 produzioni, molte delle quali rivelatesi dei successi, altre sfortunate, ma certamente quasi tutte significative per il coraggio di produrre stravaganze (rapportate al panorama produttivo del tempo).

Importante il rapporto con Francesco Nuti, di cui Piccioli potrebbe definirsi il pigmalione. É stato quello più fruttuoso, se non qualitativamente (le regie di Nuti sono state costantemente stroncate), economicamente, come attestano gli incassi di: Casablanca, Casablanca (1985), Tutta colpa del paradiso (1985), Caruso Pascoski di padre polacco (1988), Willy Signori e vengo da lontano (1989) e Donne con le gonne (1991).

Per Nuti è stato il miglior periodo, e non a caso fu lui il primo comico toscano a sbancare i Box-office, prima di Roberto Benigni e Leonardo Pieraccioni. Purtroppo poi Nuti si è imbarcato nel mega disastro OcchioPinocchio (1994), prodotto da Cecchi Gori.

Gianfranco Piccioli

Ma la fortuna cinematografica di Francesco Nuti, che esordì nel gruppo comico dei Giancattivi (Alessandro Benvenuti e Athina Cenci) era cominciata come protagonista nel terzetto di stralunate commedie dirette da Maurizio Ponzi. Questa fu una delle scommesse di Piccioli, perché Ponzi, ex critico cinematografico e poi assistente di Pier Paolo Pasolini, quando passò dietro la macchina da presa realizzò pellicole di matrice contestatrici di scarso successo.

Il trittico Madonna che silenzio c’è stasera (1982), Io, Chiara e lo Scuro (1983) e Son contento (1983) definirono la fisionomia attoriale melancomica di Nuti, in particolare la seconda opera, una commedia romantica, che ruota intorno al tavolo di biliardo. Avrà poi un seguito con Casablanca, Casablanca (1985), esordio registico di Nuti ma che doveva essere inizialmente diretta da Luciano Odorisio.

Altra puntata sul tavolo verde toscano di Gianfranco Piccioli fu quella con Alessandro Benvenuti. Certamente meno sonante, ma il produttore ha dato credito alla “bizzarra” vena dell’autore fiorentino, che ha esordito con il piccolo Ad ovest di Paperino (1982); poi ha diretto Era una notte buia e tempestosa… (1985) e infine una delle migliori opere Benvenuti in casa Gori (1990).

Restando in ambito “bizzarro”, Piccioli ha prodotto Liquirizia (1979) di Salvatore Samperi, bislacco e “iconoclasta” omaggio alla vita di provincia di fine anni ’50, tra musical e college movie. Pellicola sfortunata all’epoca, ma poi rivalutata.

Alte opere singolari, che non trovarono però pubblico, furono la favola Maramao (1987) di Giovanni Veronesi, al suo esordio; l’apologo Topo galileo (1988) di Francesco Laudadio con Beppe Grillo, alla sua ultima interpretazione cinematografica; il fiabesco metropolitano Musica per vecchi animali (1989) dello scrittore Stefano Benni, al suo esordio – e termine – registico; l’irriverente biopic Ormai è fatta! (1999) di Enzo Monteleone con Stefano Accorsi.

Il rapporto con Davide Ferrario, altro scommettitore cinematografico, si è purtroppo risolto con una sola produzione, ossia il bildungroman, con sfumatura di free cinema, Tutti giù per terra (1997). Probabilmente l’opera più compatta del regista bergamasco, ma è anche il film che ha lanciato la carriera di Valerio Mastandrea.

Di Piccioli produttore vanno ricordati anche i due film di Pupi Avati: il corale e nostalgico Storia di ragazzi e di ragazze (1989) e il biopic Bix – Un ipotesi leggendaria (1991). Quest’ultimo si riallaccia alle scommesse produttive di Piccioli, poiché la pellicola, incentrata sul trombettista Leon Bix Beiderbecke (1903-1931), era un sogno a lungo accarezzato da Avati.

Gianfranco Piccioli

La collaborazione con Sergio Citti

Il loro rapporto collaborativo va menzionato a parte, non perché sia stato il più fruttuoso (soltanto tre opere), ma perché Gianfranco Piccioli, se da un lato ha aiutato Citti nel portare a termine progetti che altri produttori rifiutarono, dall’altro ha delle responsabilità (che ha poi ammesso nell’intervista contenuta nel libro di Benedictis) che hanno in parte intaccato, nel momento della realizzazione, le idee cittiane.

Come scritto in precedenza, Piccioli esordì nelle vesti di produttore con Casotto (1977), la pellicola di Citti più nota al pubblico, divenuta con il tempo un cult. Kammerspiel balneare, affollato di attori di prestigio, tra cui Jodie Foster nel ruolo della paesana Teresina (ci sono divertenti aneddoti sul modo di comunicare tra il borgataro Citti e l’americana Foster).

Una commedia grottesca in piena regola, il maggiore successo commerciale di Citti, che vedeva tra gli altri Gigi Proietti, Mariangela Melato, Ugo Tognazzi, Paolo Stoppa, Franco Citti e Catherine Deneuve. E pensare che ai primordi del film doveva esserci Marcello Mastroianni.

Gianfranco Piccioli

L’ottimo successo di Casotto permise a Citti di realizzare Due pezzi di pane (1979), un progetto che aveva in mente sin dalla fine degli anni Sessanta, e che piaceva anche a Pasolini. Sulla falsariga di Candido di Voltaire, è uno sguardo nostalgico a una Roma che non c’è più, ormai sopraffatta (sono gli anni Settanta) dal terrorismo, i capelloni e la pessima musica da discoteca.

Già in questa seconda collaborazione si palesa il coraggio di Gianfranco Piccioli nel finanziare un’idea “anacronistica”, ma anche il fatto d’imporre a Citti l’utilizzo di due attori importanti, da botteghino, e svilire così la semplicità narrativa e filmica propria del regista. Vittorio Gassman e Philippe Noiret, nella realtà due borghesi, non riescono appieno a mettersi nei poveri e ingenui panni di questi due pezzi di pane.

Prima di entrare definitivamente in produzione, Citti dichiarava nelle interviste che ci avrebbe visto bene come protagonisti due clown, oppure, in un’intervista a Gian Luigi Rondi, Marcello Mastroianni e Dustin Hoffman.

Infine l’ultima collaborazione tra Piccioli e Citti: Mortacci (1989). Commedia grottesca anch’essa corale, fu il progetto di Citti dalla gestazione più lunga. Anch’esso partorito alla fine degli anni Sessanta, ebbe il titolo da Pasolini e una, sceneggiatura che subì diverse modifiche.

Nella prima metà degli anni Ottanta sembrava che il film si sarebbe realizzato, sotto la produzione di Cecchi Gori, e tra gli attori ci sarebbero stati Carlo Verdone, Roberto Benigni e Massimo Troisi. Sfilandosi l’attore partenopeo, la produzione fu fermata. Soltanto con l’entrata in scena di Gianfranco Piccioli Mortacci vide finalmente la luce.

Ma anche qui ci fu un altro errore di Piccioli, che egli stesso ammise nella già citata intervista. Come Casotto, anche Mortacci era affollato di attori di prim’ordine, tra cui Malcom McDowell (che non capiva il regista), ma rispetto all’altro film qui gli attori non tutti sono in parte. Il già citato McDowell, doppiato in veneziano, e Carol Alt.

Il regista romano, per quel ruolo, avrebbe preferito la carnosa Francesca Dellera, più adatta, ma Piccioli preferì prendere la diafana Alt.

Ma al netto di queste scelte, chiaramente dettate da motivi commerciali (il produttore è quello che ci mette i soldi), Gianfranco Piccioli merita tutto il rispetto nell’aver finanziato i progetti di Citti e tutti gli altri registi, e dispiace che dal 2000 in poi non abbia incontrato ulteriore successo.

Gianfranco Piccioli, molto probabilmente, non era più in sintonia con un cinema italiano volto al conformismo narrativo e stilistico. Un produttore d’antan, come attesta anche questo incontro pubblico.

Gianfranco Piccioli

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