Tra i film più visti sul portale di cinema in streming Netflix, compare in questi giorni The Outpost, il film drammatico di guerra incentrato sulla strenua difesa di un avamposto militare statunitense in Afghanistan da parte di uno sparuto gruppo di marines circondati e presi d’assedio in un ostile e isolato territorio in mano ai talebani.
Il nemico alle porte attorno all’avamposto
Una pattuglia formata da 54 soldati americani si ritrova in missione in Afghanistan a presidiare un campo base ove sono custodite armi e dove è stato insediato un ospedale da campo.
Siamo nel 2009, in piena guerra contro i talebani, e la truppa si troverà incastrata entro un contesto geografico che si rivelerà a tutti gli effetti come una trappola naturale, attorno alla quale un manipolo di oltre 300 nemici armati e perfettamente a conoscenza del territorio, sferreranno alle forze statunitensi un attacco senza tregua, che costringerà l’armata ad una difesa strenua in attesa dell’arrivo dei rinforzi.
Assediati da un anfiteatro montagnoso perfetto per nascondersi ed orchestrare agguati, i militari dovranno far forza unicamente sulla loro tenacia, il loro coraggio, la volontà di sacrificarsi e si assistersi l’un l’altro.
The outpost – la recensione
“Benvenuti nel lato oscuro della luna signori”
Da un fatto vero che produsse 8 morti e 27 feriti tra le truppe Usa, ed oltre 150 nei ranghi dei talebani, in vantaggio numerico e logistico, il film del veterano Rod Lurie adatta l’omonimo libro scritto da Jake Tepper incentrato appunto sulla battaglia di Kamdesh, dando ad almeno tre/quattro personaggi lo spazio di ritagliarsi ruoli da protagonisti, assediati da una imboscata impari e organizzata sopra ogni aspettativa.
Lurie, forse memore del suo passato di ufficiale dell’esercito Usa, si trova molto a suo agio in quel contesto, riuscendo a rendere bene l’urgenza e la terrificante atmosfera da trincea che la situazione evoca e richiama.
Certo il film non arriva a creare quel pathos e quella frenesia scattante da urgenza che poteva comunicare un film intenso ed epidermico come quel vibrante Black Hawk Down di Ridley Scott del 2001, ambientato in una missione in Somalia, ma Lurie riesce a rendere impellente l’atmosfera infernale che si respira “in trincea”, o comunque sotto il fuoco nemico.
La vicenda, non priva di situazioni da luogo comune in ambito militare, cerca meglio che può di creare empatia nello spettatore, ovvero di “umanizzarsi” restringendo il campo su qualcuno dei protagonisti, potendo altresì contare su tre star piuttosto note del cinema commerciale, ma a ben vedere anche d’autore, come
Scott Eastwood (visto di recente nel thriller
Dangerous), figlio somigliantissimo di Clint qui nei panni dell’eroico sergente Clint Romesha, il lanciatissimo e versatile
Caleb Landry Jones in quelli dello specialista tiratore Ty Carter, entrambi superstiti ed assegnatari della medaglia al valore. Mentre al redivivo
Orlando Bloom è affidato il ruolo poco più che da cameo del tenente Benjamin Keating, tra le prime vittime di un agguato talebano poco distante dalla base presa d’assedio.