Nell’elegante sala Dolce vita, del Marriot Grand Hotel Flora, in Roma, si è tenuta la Press Conference del film Brian e Charles (2022) di Jim Archer. Distribuito dalla Lucky Red, e in anteprima al Giffoni Film Festival, è una simpatica e intelligente commedia adatta sia a un pubblico di bambini e di spettatori adulti.
Alla conferenza erano presenti gli attori protagonisti, David Earl e Chris Hayward, e il regista Archer. L’incontro si è svolto in un clima di grande cordialità e simpatia, con gli intervistati prodighi di risposte e l’inconfondibile risata di Brian/David Earl.
Come è nata l’idea dei personaggi e poi la trasposizione cinematografica?
David Earl: «Tutto è cominciato con degli spettacoli dal vivo nei locali, che ho portato avanti per anni. Successivamente ho inventato una finta trasmissione radiofonica su internet, dove c’erano gli ascoltatori che telefonavano non sapendo che la trasmissione fosse finta, e composta da personaggi particolari.
A a un certo punto il produttore (Rupert Majendie, n.d.r.), divertito da questa situazione che si era creata, ha deciso di utilizzare un software vocale per dare voce al personaggio di Charles. Visto che lui impiegava del tempo per rispondere, poiché doveva digitare le risposte, è venuto fuori questo rapporto così particolare fra Brian e Charles.
Chris ascoltò casualmente questa trasmissione radiofonica, e si innamorò istantaneamente del personaggio. Fu lui a propormi di voler dar corpo a Charles, per renderlo concreto. Da quel momento Chris e io abbiamo continuato a portare questo “duetto” nei locali notturni, e abbiamo notato che il pubblico amava tantissimo i personaggi, affezionandosi particolarmente al robot Charles.
Li lasciammo da parte per qualche tempo, dopo la realizzazione del cortometraggio, finché la film Film4 Productions ci contattò per proporci la realizzazione di un lungometraggio»
Come mai ci sono delle differenze caratteriali il cortometraggio e il lungometraggio?
Jim Archer: «Li avevo visti spesso dal vivo, e mi divertivano moltissimo. C’era un certo aspetto anarchico nelle loro performance nei locali. Naturalmente il film è un po’ diverso. Come spettatore adoro i documentari, in particolare quelli brevi, e mi piaceva molto la forma del mockumentary.
Però volevo fare un mockumentary un po’ diverso, più moderno rispetto a tutti quelli che avevo visto. La scommessa più grande di questo film era “vediamo se riusciamo a far sì che le persone si interessino e si appassionino a quest’uomo che ha un rapporto con un robot fatto con una lavatrice”. Volevo capire se riuscivamo a costruire una storia con questi due personaggi bizzarri»
David Earl: «In fase di scrittura abbiamo immaginato dei comportamenti diversi per i due personaggi, anche perché l’intenzione era quella di realizzare un film per un grande pubblico. Gli spettatori sarebbero stati differenti rispetto a quelli che venivano nei locali. Oltre al fatto che volevamo rendere Charles un personaggio più piacevole.
Nelle performance live Charles aveva atteggiamenti e un linguaggio da adulto, e il rapporto con Brian era più conflittuale, facendolo deflagrare con uno scontro. Adottavamo una comicità più sferzante, proprio perché sapevano che quel tipo di pubblico l’avrebbe accettata.
Nel film abbiamo cercato di rendere i caratteri di Brian e Charles più dolci, smorzandone i toni. Nel caso di Brian, per renderlo un vero emarginato della società, in modo tale che il pubblico facesse il tifo per lui, provando empatia per quest’uomo che cerca di inventare delle cose inutili»
Chris Hayward: «Sapevamo che volevamo realizzare un film adatto a un pubblico più vasto, quindi abbiamo abbassato i toni. Però volevamo conservare alcuni di quegli aspetti che erano piaciuti tanto al pubblico durante gli spettacoli; o anche a quelli che avevano apprezzato il cortometraggio. Ad esempio i litigi tra Brian e Charles, i balletti di Charles»
Come mai avete scelto questi paesaggi così isolati?
Jim Archer: «Era per corroborare meglio questo senso di solitudine, di isolamento in cui vive Brian. Anche il cortometraggio lo avevamo girato in Galles, ma questa volta abbiamo deciso di spingerci molto più all’interno, per marcare questa solitudine.
L’altra location presa in considerazione erano le Highlands scozzesi, però sarebbe stato molto più complicato per la produzione. I paesaggi gallesi riflettono perfettamente lo stato d’animo e mentale in cui vive Brian»
David Earl: «Tutti noi siamo cresciuti in campagna, e quando vivi in campagna t’imbatti in personaggi strambi come quelli rappresentati nel film. Quelli che circondano i due protagonisti si basano su molti di quelli che abbiamo conosciuto in passato.
Riguardo l’ambientazione, abbiamo cercato anche un luogo che fosse spettacolare dal punto di vista naturalistico. Alcuni luoghi del Galles sono molto belli, una combinazione di naturalezza e crudeltà. Un paesaggio bello, però duro»
Come vi siete spartiti il lavoro?
Jim Archer: «Il grosso del lavoro se lo sono accollato tutto loro due (sorride), poiché sono stati loro a costruire questi due personaggi. E fra Chris e David c’è un ottimo rapporto, che dura da molti anni.
Ero tranquillo, sapendo di poter contare su di loro. Invece, per quanto riguarda il mio lavoro, è stato quello di rappresentare in maniera molto seria il rapporto tra i due, per renderlo il più realistico possibile»
Il rapporto tra Brian e Charles sembra quella tra un padre e un figlio…
David Earl: «L’idea del rapporto padre e figlio è venuta in fase di scrittura. Come già detto precedentemente, negli spettacoli dal vivo anche Charles ha un atteggiamento adulto, con un linguaggio poco consono a un pubblico di bambini.
Quando abbiamo cominciato a scrivere la sceneggiatura, tenendo in conto che volevamo realizzare anche un film per bambini, abbiamo fatto in modo che Charles era come se nascesse, crescesse, diventasse un adolescente e poi volesse andarsene di casa.
In ciò ha anche influito il fatto che all’epoca avevo un figlio adolescente; pertanto vivevo quel conflitto padre/figlio. Mio figlio voleva stare ovunque dove non ci fossi io»
Che domande vi aspettate dal giovane pubblico del Giffoni Film Festival?
David Earl: «Sicuramente ci domanderanno “Ma quella è veramente una lavatrice?” (ride). In realtà mi piacerebbe che anche loro avessero la voglia, come è capitato ai miei figli, di costruire delle cose… chissà anche un robot. Vorrei che questo film catturasse la loro immaginazione, e gli facesse venir voglia di fare delle cose anche strane e inutili, ma che li renda attivi e vivi»
Avete mai pensato di farne anche una serie televisiva?
Chris Hayward: «… anche un musical, un libro, un fumetto, un libro per bambini… Prima dobbiamo vedere come andrà il film, se piacerà. Sicuramente stiamo lavorando su ulteriori sviluppi dei due personaggi»
Louise Brealey, che interpreta Hazel, è molto brava. Come le avete proposto il ruolo?
Jim Archer: «Le abbiamo descritto soltanto il contesto in cui vive questa ragazza compassata, e il resto, ovvero le rifiniture caratteriali di Hazel, le ha definite la Brealey.
Anche perché in fase di scrittura non riuscivamo a immaginare l’anima gemella per Brian, perché volevamo una donna che si innamorasse di lui, ma ugualmente che non fosse stramba come lui.
L’unica cosa che sapevano era che doveva essere una giovane ragazza, con una madre molto opprimente e onnipresente, e che non era mai uscita dal suo villaggio»
Quanto c’è di voi nei personaggi?
David Earl: «io sono Brian, perché come lui invento cose, che poi non funzionano quasi mai. E benché non mi riescono, continuo a farle. Inoltre, io continuo a sognare costantemente a occhi aperti.
Anche perché nel mondo in cui viviamo, se non ci fosse l’immaginazione sarebbe difficile sopravvivere. L’immaginazione è una via di fuga importantissima, e noi con questo film cerchiamo di spronare il pubblico a usarla tantissimo».
Chris Hayward: «La caratteristica principale che mi lega a Charles è quella dell’amore per i viaggi. Mi piacerebbe stare sempre in vacanza e andare in giro per il mondo»
Come siete riusciti a conservare, dopo tutti questi anni, la freschezza dei personaggi?
Chris Hayward: «Prima di tutto perché siamo noi a divertirci, sia negli spettacoli dal vivo e sia nel cortometraggio. Questa allegria, quasi adolescenziale, certamente ha mantenuto la freschezza dei personaggi»
David Earl: «Ho cercato di cambiare e adattare il personaggio di Brian a seconda dei contesti in cui recitavo. Soprattutto dal vivo, poiché ogni sera hai un pubblico differente, e quindi lo spettacolo, e la tua performance, vengono sempre fuori diversamente»
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