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In Sala

Midnight in Paris

“Midnight in Paris” è la dichiarazione d’amore di Woody Allen a Parigi. Senza sollevare ingombranti discussioni filosofiche, Allen solletica la mente con una commedia fresca e leggera sull’importanza di accettare e apprezzare il tempo in cui viviamo

Pubblicato

il

Anno: 2011

Distribuzione: Medusa

Durata: 94′

Genere: Commedia

Nazionalità: USA

Regia: Woody Allen

Midnight in Paris è la dichiarazione d’amore di Woody Allen a Parigi, città illuminata dal fervore intellettuale e avvolta in un’atmosfera magica che già nel 1965 non mancò di affascinare il regista newyorchese impegnato, allora come sceneggiatore, nella pellicola Ciao Pussycat. Sulla scia della sua confessione – «tifo New York perché sono nato e cresciuto lì ma se non vivessi a New York, Parigi sarebbe la mia città d’adozione» – non è un azzardo tracciare un ponte ideale tra il capolavoro dedicato alla propria città-musa (Manhattan, classe 1979), elegia di uno sguardo sognatore, e quest’ultimo poema romantico di corteggiamento alla capitale francese, colmo di riverberi nostalgici. Già l’incipit di Midnight in Paris, che si compone con una carrellata di immagini della Ville Lumière, immortalata prima radiosa e poi bagnata dalla pioggia, suggerisce quello stesso sguardo trasognato riservato a Manhattan.

Gil (un convincente Owen Wilson) è un avviato sceneggiatore hollywoodiano in vacanza a Parigi con la futura moglie Inez (Rachel McAdams) e gli invadenti genitori di lei. Sebbene conduca una vita apparentemente perfetta, Gil è insoddisfatto della sua carriera perché preferirebbe dare sfogo al suo sogno di scrittore, e rimpiange di non essersi trattenuto a Parigi nella sua prima visita alla città. Gil è terribilmente affascinato dalla capitale europea e dal milieu intellettuale che l’ha animata, tant’è che a Inez e parenti preferisce le solitarie passeggiate notturne fino a St. Genevieve, dove a mezzanotte le sue fantasticherie su un passato ideale (o idealizzato) si trasformano in realtà. Lo scoccare della mezzanotte a Parigi conduce il protagonista negli accesi e da sempre amati anni venti, in compagnia dei mitici Scott Fitzgerald e Zelda, Cole Porter, Ernest Hemingway, Gertrude Stein (una geniale Kathy Bates), Pablo Picasso, Salvador Dalì (un colorato Adrien Brody), Luis Buñuel, Man Ray. Con la vis comica tutta alleniana, Gil si confronta con le visioni belliche di Hemingway, assiste al vivace confronto tra Stein e Picasso a proposito della rappresentazione, tutt’altro che realistica, di amore e passione rarefatte nell’astrazione, ascolta le teorizzazioni di Dalí sul rinoceronte, anticipa un Buñuel impreparato, suggerendogli il soggetto dell’Angelo Sterminatore. E, dulcis in fundo, si innamora dell’affascinante Adriana (una magnetica Marion Cotillard),  cui va il merito di aprire un sogno nel sogno e di condurre Gil ad una folgorante verità: non esiste l’epoca d’oro perché in realtà tutti sono annoiati dal presente che abitano e cercano riparo in un passato fulgido e portatore di senso.È sul presente, quindi, che Gil deve concentrarsi.

Se in Tutti dicono I love You Allen aveva accarezzato Parigi considerandola come la concretizzazione di una fantasia (per Von/Julia Roberts) e il rifugio quasi idilliaco di una fuga (per Joe/Woody Allen), in Midnight in Paris esplode definitivamente la fantasticheria romantica su questa città tanto corteggiata ma mai del tutto afferrata. L’autore, che di recente ha deluso gran parte dei suoi fan con Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni – riflessione senza infamia e senza lode sull’illusorietà dell’amore – evita il rischio di trasformare l’incanto in un appiattito stereotipo e stimola, invece, un’interessante riflessione. Senza sollevare ingombranti discussioni filosofiche, Allen solletica la mente con una commedia fresca e leggera sull’importanza di accettare e apprezzare il tempo in cui viviamo. La nostalgia di un passato mai vissuto, ma considerato eccezionale, è solo frutto dell’incapacità di collocarsi nel ‘qui e ora’, e Gil è abituato a guardarsi indietro.  Questa volta Allen è più indulgente e tratta con tenerezza il suo alter ego, gli concede il ‘gioco’ di viaggiare nel passato glorioso a patto che la destinazione ultima sia il presente, l’unico vero momento degno di essere vissuto e costruito. Come ne La Rosa Purpurea del Cairo, Allen ci ricorda che il fuggire noi stessi e il mondo circostante è solo una trappola illusoria e, tutto sommato, vana.

Francesca Vantaggiato

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