Peggio che andar di notte. Babycall di Pal Sletaune è un filmetto di genere, che gioca, come sembra essere molto di moda negli ultimi tempi, con il tema della malattia mentale. Il didascalismo al limite dell’offesa dell’intelligenza, la prevedibilità e l’inconsistenza della storia tengono in ostaggio lo spettatore, che, già dopo venti minuti, ha ben compreso di star perdendo tempo.
Il recensore, nelle vesti di ‘scrivano’, si limiterà a riferire la sinossi.
Anna (Noomi Rapace) e suo figlio Anders (Vetle Qvenild Werring), di 8 anni, per sfuggire al padre violento del bambino si trasferiscono in un luogo segreto, all’interno di un enorme condominio. Anna teme che il suo ex marito possa trovarli e compra un Babycall, affinché Anders sia al sicuro mentre dorme e lei possa ascoltarne suoni e rumori dall’altra stanza. Dall’apparecchio, però, echeggiano strani gemiti che sembrano provenire da altre parti dell’edificio: Anna ascolta quello che crede sia l’omicidio di un bambino. Nel frattempo, Anders incontra una misteriosa presenza infantile che appare e scompare. Sa qualcosa dei suoni provenienti dal Babycall? Perché c’è del sangue su un disegno di Anders? Madre e figlio sono ancora in pericolo?
Luca Biscontini