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FESTIVAL DI CINEMA

Venezia .68: “Scossa” e la tenera decadenza di alcuni maestri italiani (Fuori Concorso)

“Scossa”, progetto cinematografico che vede coinvolti tre maestri (Citto Maselli, Carlo Lizzani ed Ugo Gregoretti) e una leva (Nino Russo), rievoca il terremoto che il 28 dicembre del 1908 alle 5.21 del mattino provocò una vera e propria catastrofe sulle due città dello Stretto: Messina e Reggio

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C’è anche Tatti Sanguineti (e come non trovarlo, proprio qui), nella sala Perla del Palazzo del Casinò, presenziata anche dal direttore artistico della Mostra  del Cinema Marco Müller, da un pubblico di affezionati e di critici legati inevitabilmente a questa generazione di registi ormai ‘in via di estinzione’. E ci sono anch’io. Anche per me c’è qualche tassello filmico che mi lega a Citto Maselli, Carlo Lizzani ed Ugo Gregoretti, che arrivano ed accolgono calorosi e sinceri applausi e saluti. Il peso del tempo è tutto sui loro visi e corpi, ma gli occhi non tradiscono quell’amore e quella passione per un fare cinema e un raccontare la vita che è parte di ognuno di loro.

Arrivano anche attori: Amanda Sandrelli, il giovane Paolo Briguglia, altri attori che non conosco e un quarto regista: Nino Russo, pure a me sconosciuto. Siamo tutti qui per Scossa, progetto cinematografico nato e portato avanti da un piccola casa di produzione la Paco Cinematografica, che vede coinvolti i tre calibri visivi e televisivi di un tempo, più Nino Russo, alle prese con il fenomeno naturale devastante per eccellenza per l’Italia: il terremoto che il 28 dicembre del 1908 alle 5.21 del mattino provocò una vera e propria catastrofe sulle due città dello Stretto: Messina e Reggio Calabria. Ogni autore, con assoluta libertà creativa, ha avuto modo di confrontarsi su tale aspetto e di renderne una riflessione per immagini dentro quattro episodi che, seppure a sé stanti, risultano, almeno sulla carta, uno sguardo ad ampio raggio dentro le variegate sfaccettature che un avvenimento del genere produce su coloro che ne risultano direttamente o indirettamente investiti.

In astratto, il racconto per immagini si snoda linearmente partendo dall’arrivo, improvviso e spiazzante, del tragico sommovimento tellurico firmato Carlo Lizzani (Speranza), continua nel racconto reporteristico-storico di Ugo Gregoretti (Lungo le rive della morte), incentrato sulla gestione improvvida e sottovalutata della situazione da parte dei detentori del governo politico-amministrativo e sulle vicende umane della popolazione sopravvissuta, si fissa in un breve momento tragico, tutto personale, di una ottusità completamente umana che supera la stessa illogicità della morte improvvisa, legata ad un evento naturale, in Sciacalli di Citto Maselli, e si chiude con una ‘tirata di somma’ sull’essere Italia ed Italiani di Sembra un secolo di Nino Russo.

Purtroppo, veramente a malincuore, la grande mancanza di tenuta visiva e narrativa di questo lavoro viene proprio dai tre nomi più prestigiosi, clamorosamente inciampati in una perdita di lucidità artistica che, probabilmente, si manifesta inconsciamente, al di là della loro passionale relazione con la macchina da presa, impossibile da lasciare ed abbandonare anche quando è arrivato il momento di farlo…L’occhio visivo è distante, pedante e poco originale, non affonda neanche nel dramma, ci mantiene distaccati verso gli uomini e le donne che incrociamo, verso i loro dolori, il loro insostenibile peso dell’inevitabilità e della impotenza. Le parole che ascoltiamo sono fredde, poco pulsanti, non pesano, non toccano. Come non tocca la modalità di messa in scena, il taglio impiegato nel trattare i tre punti di vista scelti.

Mentre funziona decisamente Nino Russo e la sua chiusura. Con intelligenza ed ironia, è riuscito a contemporaneizzare  la catastrofe del 1908, ‘secolarizzandola’ nella semplice e disperata vicenda di un vecchio pescatore (l’empatico e bravo  e saggio Gianfranco Quero) di Messina, che attende da 160 anni che gli venga assegnata una casa promessagli a seguito del terremoto, e che fino a quando non gli verrà data, ‘baratterà’ con la propria morte…Gli anni passano, i ‘potenti e referenti’ cambiano, ma la promessa della casa viene sempre garantita dall’interlocutore di turno al vecchio disincantato, che però non demorde mai…Continuando a vivere nel suo capanno di pesca in attesa, e ad osservare la debolezza e la cattiva leggerezza di un popolo (quello italiano) incapace di prendere in mano il proprio destino, di uscire da una indole soccombente e rassegnata nella quale pare abbia estremo piacere a stare.

Maria Cera

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