“Michel Petrucciani: questo film racconta la storia di come l’artista francese raggiunse il successo attraverso una volontà incrollabile e la forza della sua personalità.”
Michel Petrucciani, un uomo sorprendente e unico, sia da un punto di vista fisico, che per il suo straordinario talento musicale. Questo film racconta la storia di come l’artista francese raggiunse il successo attraverso una volontà incrollabile e la forza della sua personalità.
Nato con una terribile malattia genetica, l’osteogenesi imperfetta, che gli impedì di crescere oltre il metro, Petrucciani riuscì a sormontare numerosi ostacoli, diventando un jazzista di rango internazionale. Egli fece addirittura il suo primo concerto da professionista all’età di 13 anni. Da lì la sua carriera procedette rapidamente, portandolo a suonare con alcuni dei migliori musicisti del mondo. Michel Petrucciani – Body and Soul narra dunque l’incredibile storia di uomo spinto da un desiderio insaziabile, quello di divorante tutto quello che la vita aveva da offrirgli: i viaggi, le donne, l’arte.
Quella di Petrucciani è comunque la storia di un predestinato, visto che grazie al padre crebbe immerso nella musica di maestri del calibro di Wes Montgomery, Miles Davis, Django Reinhardt, Art Tatum. A quattro anni vide un concerto dell’immenso Duke Ellington in TV e si innamorò per sempre della musica jazz e del pianoforte; immediatamente ne pretese uno tutto per sé. Curioso notare come, alla stregua di molti amanti del jazz, anche Petrucciani sia stato “iniziato” da quell’incredibile mito musicale che è Duke Ellington. La grandezza del “Duca” colpì così tanto il musicista francese da fargli dichiarare: “Per me fu una specie di folgorazione. Evidentemente avevo buon gusto”.
Il trasferimento in America è un passo chiaramente obbligato. Dopo cinque intensissimi anni nel Big Sur, località californiana resa celebre dall’omonimo romanzo di Jack Kerouac del 1962, Petrucciani decide di trasferirsi a New York; sono gli anni ’80 e la Grande Mela è ormai il paradiso del jazz. Qui egli suona nel mitico Village Vanguard, fianco a fianco con i più grandi musicisti dell’epoca. Primo non americano della storia, il francese firma un contratto con la Blue Note Records, incidendo con una lunga schiera di jazzisti leggendari: Roy Haynes, Jim Hall, John Abercrombie, Wayne Shorter, Joe Henderson, Joe Lovano e Dizzy Gillespie. Alla fine, stanco degli eccessi newyorkesi, che non stavano certo aiutando la sua fragilissima salute, Petrucciani decide infine di tornare in Francia. Qui trova la donna che gli darà un figlio, Alexandre, anche egli musicista, il quale purtroppo eredita la sua stessa malattia. Il ritorno in patria coincide inoltre con l’apice della sua carriera, divenendo una star internazionale.
Quando gli dicevano di darsi una calmata, Petrucciani rispondeva: “Ehi, ho già vissuto più di Charlie Parker, non è male, no?”. Esausto da un ritmo di lavoro incessante (220 concerti nel 1998), si ammala di polmonite nell’inverno del 1998 a New York e muore il 6 gennaio del 1999. Aveva soli 36 anni! Venne seppellito nel cimitero di Père Lachaise, accanto alla tomba di Frédéric Chopin, un onore certo non concesso a tutti.
Ciò che sorprendeva in Petrucciani, persino oltre il suo cristallino talento, era il totale rifiuto di qualsiasi forma autocommiserazione; egli non accettava che la gente si lamentasse, rispondendo il più delle volte con queste parole: “Di che ti lamenti?’, soleva dire in tono scherzoso, “Guardami! Mi sento benissimo! Mi sto divertendo!”. E si divertiva eccome.
Il sobrio film di Michael Radford – già co-regista con Massimo Troisi de Il postino (1994) – si rivela un documento utilissimo per gli amanti e studiosi della musica jazz, ma esso ha anche un’utile valenza morale, giacché ci spinge a valutare la nostra vita da un’altra prospettiva, decisamente più sana, meno egocentrica e isterica.
Michel Petrucciani – Body and Soul, già passato fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes, si attesta come un inno alla vita, mostrando la straordinarietà di un uomo nato per essere un freak e divenuto invece una specie di idolo, ammirato e stimato e, cosa fondamentale, accettato da tutti. Nel documentario di Radford la vita di questo uomo così piccolo da dover essere portato in braccio è raccontata attraverso la testimonianza dei suoi tanti amici e colleghi, delle sue molte donne, dei suoi ammiratori, per un ritratto mai incline alla compassione per l’handicap di Petrucciani; in questo bisogna riconoscere come il regista inglese abbia compreso appieno il modo di vivere del jazzista transalpino.
Trattasi in definitiva di un documentario in linea, dal punto di vista stilistico, con quelli sul jazz, dallo stile semplice, nel quale prevale l’interesse per l’aspetto biografico, più che per quello prettamente musicologico. Dunque, non vi è nulla di sperimentale in questa pellicola. Ciononostante, non è questo che conta. Infatti, questi film dovrebbero essere apprezzati più per la loro valenza documentale che per quella artistica, e da questo punto di vista la pellicola di Radford ne esce a testa alta.
Un cosa è certa, la vita di Michel Petrucciani è la dimostrazione che nulla può impedire ad una persona di vivere pienamente, se lo vuole davvero, specie se si tratta di un personaggio della qualità di Petrucciani, il quale è stato senza dubbio uno dei più importanti jazzman bianchi degli ultimi anni.
Riccardo Rosati
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