Connect with us

FESTIVAL DI CINEMA

Non far rumore allo Spiragliofilm Festival e su RaiPlay

Non far rumore Storia incredibile dei bambini italiani, figli di immigrati, prigionieri delle case svizzere fino a poco tempo fa. Infanzie e adolescenze rubate, nel documentario di Alessandra Rossi e Mario Maellaro

Pubblicato

il

Dopo Marasma, ancora un film che ci parla della violenza sui bambini allo Spiragliofilm Festival, l’interessante rassegna che propone storie di disagio psicologico: Non far rumore di Alessandra Rossi e Mario Maellaro, prodotto da Rai Tre. Lo si trova anche su RaiPlay, quella miniera di film, documentari e serie tv che vale sempre la pena di esplorare.

Non giocare! Non ridere! Non piangere! Il mantra

Non giocare, non ridere non piangere non fare rumore. Era la raccomandazione dei genitori italiani, immigrati in Svizzera, ai loro bambini, ogni mattina prima di andare a lavorare.

Sono stati ben due milioni gli emigrati italiani dall’immediato dopoguerra al  1970. Hanno costruito con le loro fatiche il benessere di una nazione che ne sfruttava la manodopera senza garantirne i diritti. Tra tutti, quello insopportabilmente negato era il ricongiungimento familiare.

Non far rumore: immagine tratta dal sito ufficiale da Lo Spiragliofilm Festival

Così i figli, portati clandestinamente oltre confine, erano costretti al silenzio, alla sparizione,  inghiottiti dagli appartamenti stranieri, anche per sei o nove mesi consecutivi, seguendo i cicli del lavoro stagionale dei loro genitori. Dopo sei o nove mesi di reclusione, tornavano in Italia, per essere poi di nuovo imprigionati in Svizzera. Per anni, i bambini pacco, sono stati privati del gioco, della scuola, dell’assistenza sanitaria, della normale quotidianità nell’esistere.

Ma per un bambino non giocare non ridere non piangere non fare rumore è un’ingiunzione paradossale, che si nega nello stesso momento in cui la si formula.

Ferite che non si cicatrizzano

Della paralisi che li ha resi vittime, parlano ora i bambini di allora, con le lacrime agli occhi, la voce spezzata. A uno di loro viene chiesto cosa direbbe al bambino che è stato. “Lo abbraccerei e gli direi, sei stato un grande”: ottima soluzione quella di prendersi cura di se stessi da piccoli, quando gli adulti hanno abdicato al loro compito.

D’altra parte, le persone coraggiose che nel film  hanno condiviso la loro sofferenza un percorso di consapevolezza devono averlo vissuto, per saper riconoscere così, anche pubblicamente, la rabbia.

Alcuni dicono di aver perdonato i loro genitori, ma nessuno, giustamente, di essersi riconciliato con la Svizzera e la legge disumana che li ha condannati al silenzio. Il cinquantottenne che abbraccerebbe se stesso bambino, dice che gli capita spesso, inavvertitamente, ancora adesso, di abbassare la voce mentre parla.

Non far rumore: un intervistato racconta la sua esperienza di “bambino nascosto”

Ferite che non possono rimarginarsi del tutto, insieme a quel senso di vergogna, d’inadeguatezza, che accompagna tutte le persone vittime di una tale bruttura. Inserite nella vita sociale poi, quando i genitori venivano assunti stabilmente, rimanevano comunque dei diversi, sempre. Chiamati zingari dagli svizzeri che manifestavano impunemente una grande avversione.

Le connivenze di un fenomeno vergognoso ancora presente

Non era migliore la sorte dei bambini chiusi nei collegi, spesso in luoghi di confine, come La casa del Fanciullo a  Domodossola, gestiti da personale inesperto e spesso violento.

Ma lo scandalo esplode solo alla fine degli anni Ottanta, nonostante la Rai abbia già prodotto e trasmesso ben due documentari: Storie dell’emigrazione (1972) di Alessandro Blasetti, e Cielo proibito (1974), a cui per alcuni spezzoni attinge il documentario Non far rumore.

Era comodo ai due governi, italiano e svizzero, non occuparsi dei minori, né dal punto di vista sanitario, né da quello scolastico. Una storia dimenticata, che vale la pena tirar fuori dai cassetti, e  La storia dimenticata dei bambini nascosti è proprio il sottotitolo del film.

Come per i manicomi raccontati in Marasma di Luigi Perelli, fa male scoprire quanto sia recente il passato di questi maltrattamenti. Addirittura, ad altre latitudini esiste la stessa identica situazione ancora oggi, come testimonia il bellissimo film Los Lobos presentato all’ultimo Festival del cinema africano, dell’Asia e dell’America Latina (FESCAAL).  Del regista messicano Samuel Kishi Leopo.

Los Lobos: immagine tratta dal sito ufficiale del festival (FESCAAL)

Los Lobos la trama e lo stile

Max e Leo, insieme alla madre Lucia, hanno da poco attraversato il confine tra il Messico e gli Stati Uniti alla ricerca di una vita migliore. Ma non è facile stabilirsi nel nuovo paese. Mentre aspettano che la mamma torni dal lavoro, i due bambini combattono la noia creando un mondo immaginario con i loro disegni e pensando alla promessa della mamma che un giorno li porterà a Disneyland, il luogo dei loro sogni.

Los Lobos è costituito di lunghe sequenze che ci fanno entrare nel mondo immaginativo dei due bambini, nella faticosissima gestione di giornate dai ritmi troppo lenti, vuoti da riempire, mentre dalla finestra si vedono gli altri giocare a pallone. La volta che Max e Leo escono non possono che combinare disastri. La scelta è quella di una narrazione che rispetta i tempi dell’assenza materna, scandita dall’orologio alla parete che sembra non voler procedere.

Non far rumore montaggio e stile

Non far rumore invece privilegia un montaggio spezzato, che separa in tanti frammenti i racconti delle sei persone intervistate. Quasi a non voler sostare troppo con l’emozione, e renderla così più sopportabile. Allo storico dell’emigrazione dell’Università di Ginevra, Toni Ricciardi, che appare spesso per il suo contributo nella ricostruzione delle vicende, viene chiesto di parlare della sua esperienza di bambino nascosto, ma solo alla fine del documentario.

Ed ecco il passaggio repentino dal resoconto oggettivo al dolore individuale. Anche a Toni Ricciardi si inumidiscono gli occhi, ma per poco, perché la regia si sposta presto ad altre storie, ad altri struggenti stralci di vita non vissuta.

Eppure, anche così, in meno di un’ora, Non far rumore riesce a toccare le corde più profonde di ciascuno di noi, a metterci in contatto con la fragilità dell’infanzia. A indignarci, soprattutto, per  una cattiveria subita da parte delle istituzioni, una volta ancora nel corso della nostra storia.

Altri contenuti significativi di Taxidrivers su RaiPlay

Raiplay 30 films e serieTV da vedere gratis

Altri contenuti su Spiragliofilm Festival

Marasma il documentario che apre Spiraglio Filmfestival

Lo Spiraglio FilmFestival della salute mentale su Mymovies

 

 

Non far rumore

  • Anno: 2019
  • Durata: 48 minuti
  • Genere: documentario
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Alessandra Rossi e Mario Maellaro
  • Data di uscita: 16-April-2021