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Uno, nessuno, centomila: intervista con Stefano Usardi, regista di Fra due battiti

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L’incontro tra Caterina Francavilla di FiFilm Production e il regista Stefano Usardi ha dato vita a una una fervente attività produttiva nata con la volontà di promuovere un cinema d’autore capace di osare nella sperimentazione artistica. Ne parliamo con l’autore di Fra due battiti, film 

Iniziamo a parlare della FiFilm Production di Caterina Francavilla e del suo modo diverso di occuparsi di cinema

Con Caterina e’ come essere nell’ottocento e io con il dovuto rispetto verso il celebre pittore mi sento come Caravaggio per la possibilità di avere anche io un mecenate desideroso di produrre le mie opere. Questo succede non solo nei miei confronti ma verso l’intera troupe perché le retribuzioni sono uguali per tutti, senza distinzione tra attori e tecnici. Si tratta di una posizione che è stata sempre rispettata in tutti i lavori fatti assieme a Caterina.

Immagino che anche tu abbia lo stesso credo?

Si, è una cosa che sento davvero mia anche in maniera un po’ ideologica. Parliamo di film collettivi nel vero senso della parola. A cominciare appunto da un uguale retribuzione. Siamo tutti sullo stesso livello.

Di solito queste frasi sono belle a dirsi ma poi è raro vederle messe in pratica. La vostra è dunque una piccola rivoluzione.

Nei nostri film tutti conoscono il budget, tutti sanno il compenso, tutti sanno tutto. Non c’è nessuna cosa poco chiara: al contrario nei nostri progetti tutto è molto limpido dall’inizio alla fine; anche nel caso degli incassi da dividere. E qui torna il discorso della necessità di farsi mecenate perché oggi nel cinema salvo rari casi non si rientra dei soldi spesi. Anche se devo dire che i miei progetti hanno sempre dei budget piuttosto piccoli rispetto alle medie nazionali.

Chi sono i vostri finanziatori?

Sono piccoli sponsor in testa ai quali c’è la casa di produzione che ha investito direttamente dal suo patrimonio personale senza nessun tipo di agevolazione fiscale e di contributo statale. Abbiamo provato a chiederlo ma per il momento non ci siamo riusciti. Certo, se penso a Fra due battiti, il mio nuovo film, mi rendo conto della difficoltà che avrei avuto se fosse stato acquistato da Netflix. Il mio è un lungometraggio molto lasciato a se stesso. E’ successo quello che doveva succedere e il risultato è un’opera con molti finali  e soluzioni poco sensate ma in senso positivo. Penso che oggi il problema grosso sia il fatto che le produzione siano veicolate in partenza dal messaggio finale rispetto alla possibilità di lasciarsi andare senza problemi. Uno potrebbe dirmi che girare in piena libertà è facile ma per esempio io avevo a disposizione attori importanti come  Remo Girone, Stefano Scaldaletti. E ancora con Sergio Tramonti che ha lavorato con Pasolini e con il Petri di Un cittadino al di sopra di ogni sospetto e nonostante questo è venuto sul set per  fare un semplice gesto con la mano; penso a Vittoria Zinny che è stata la protagonista di Veridiana del maestro Luis Bunuel e per me ha accettato di fare una sola posa, contenta di partecipare solo per la nostra amicizia. Un conto è avere artisti fuori mercato, un altro e lavorare con interpreti di primo piano, impegnati in film importanti come Girone che veniva da una grande produzione americana come Le Man 66. Lui per una settimana si è messo a disposizione  fidandosi del mio progetto e aspettando le mie indicazioni come si fa con un autore di massima fama. In questo senso sembra quasi di essere in un cinema degli albori, un po’ in controtendenza rispetto a chi si mette in produzione con  Netflix,  Sky o Amazon Prime.

La distribuzione risponde agli stessi principi?

Noi abbiamo avuto la Running TV che ci segue per tutto quello che riguarda TV e media, computer e device, video on demand e streaming. Per  la distribuzione festivaliera possiamo contare su Premiere mentre per il nuovo film spero di trovare altri partner.

Hai in programma di inviare Su due battiti a qualche festival importante?

Proveremo subito con quello di Locarno che per noi è l’obiettivo principale. Abbiamo in conto di proporlo anche a Roma, Venezia e Torino. Il mio sogno  sarebbe di partecipare al Sundance Film Festival che alla pari di Locarno è per me un punto di riferimento. Anzi ti dirò di più: Locarno sta al Sundance come Venezia sta agli Oscar.

In che maniera il tuo cinema è sperimentale?

 Su due battiti è come se fosse una premessa alla trilogia che ho già messo in cantiere e di cui conto di girare gli altri due film nel 2022 e nel 2024. E’ un libretto delle istruzioni dei lavori che verranno come pure il tentativo di semplificare una poetica volta a rompere la barriera assoluta dell’immagine, e quindi dello schermo, ma soprattutto del set. Nei mie film non sai mai  dove finisce la recitazione e inizia la vita. Parliamo di un tema da sempre molto dibattuto e con questo penso a Luigi Pirandello e al fatto di essere abituati come persone a recitare un ruolo. Su due battiti è un’opera che bisogna guardare con molta attenzione. Al contrario di quello che avviene per i prodotti Netflix se ti distrai un momento rischi di non capirci più nulla. Pur avendolo girato io è solo alla ventiduesima proiezione del montaggio che ho capito il significato di una scena. Al momento dello stesso film ci sono quattro finali ufficiali.

Se ti dovessi chiedere a quali modelli si ispira la tua direzione?

A tutti e a nessuno perché io stesso sono attraversato dai  film che vedo e dunque ti dovrei dire da ognuno di questi. Dunque il modello è il cinema in una sorta di centrifuga intrisa di citazioni e di battute tratte da altre opere. Su due battiti si apre con un dialogo preso da  La  Notte di Michelangelo Antonioni. Uno se ne può accorgere oppure no ma sono proprio le stesse identiche frasi di quel dialogo e come quelle c’è ne sono mille altre. Per me funziona così.

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