“Noah Baumbach scrive e gira un film in confezione – cinema indipendente, che ha i pregi e i difetti di una sceneggiatura realizzata esclusivamente con linguaggio cinematografico”.
Phillip Greenberg (Chris Messina) parte per le vacanze lasciando la sua splendida casa e la sua vita perfetta e organizzatissima a Los Angeles. La sua governante Florence Marr (Greta Gerwig) si ritrova sola, priva di ogni impegno, e comincia una bizarra relazione con Roger (Ben Stiller), fratello di Phillip, che rimane lì nel tempo in cui la casa è vuota.
Entrambi alla deriva, senza un posto ben definito nel mondo, non possono che attrarsi e allo stesso tempo scontrarsi. Fresco di cure psichiatriche non del tutto riuscite, Roger è un ex musicista che ha gettato via la grande occasione per non cadere vittima del sistema delle case discografiche (almeno secondo lui), adattandosi a un impiego da falegname a New York; nonostante sia acuto, brillante, intelligente, capace, ora nella vita “non fa assolutamente nulla” e lo dichiara apertamente, a parte sfogare le sue nevrosi scrivendo lettere di protesta a qualsiasi compagnia o esercizio.
Florence è, invece, un’aspirante cantante, la cui vita diventa improvvisamente vuota con la partenza dei Greenberg: ora non può evitare di fare i conti con se stessa, nascondendosi dietro occasionali incontri sessuali post-separazione. Priva di tutte le sovrastrutture di Roger, spontanea, fiduciosa, positiva, tanto sincera da sembrare spesso buffa, al contrario di lui ambisce a ritagliarsi un angolo di normalità in un mondo in cui sembra sbarcata da poco e per pura coincidenza.
Personaggi di contorno: gli ex componenti della band di Roger e una sua vecchia fiamma che simboleggiano un passato da cui il protagonista non si è ancora staccato, perchè, nonostante sia una mente brillante, non lo ha mai capito fino in fondo; inoltre, la nipote nichilista di Roger e una Los Angeles senza belletto, brillantemente fotografata da Harris Savides in una luce fredda, ruvida e naturale, che esprime le intenzioni ultime del regista molto più dei dialoghi. Nulla di edulcorato in un posto in cui, nella migliore delle ipotesi, ognuno pensa soltanto a se stesso. Nella peggiore, soltanto alla sua immagine.
Noah Baumbach scrive e gira un film in confezione – cinema indipendente, che ha i pregi e i difetti di una sceneggiatura realizzata esclusivamente con linguaggio cinematografico. Idea coraggiosa quella di escludere il più possibile elementi didascalici di matrice letteraria (se non psicanalitica) in una pellicola che si basa sulla caratterizzazione psicologica dei personaggi, lasciando spazio d’interpretazione al giudizio dello spettatore: non ci sono buoni né cattivi se non nell’occhio di chi guarda.
Humor brillante e mai banale: degna di nota la scena del confronto generazionale fra Roger e una mandria di ventenni nella festa a casa Greenberg.
Troppo poco coesa per definirla un capolavoro assoluto, vittima del suo stesso voler odorare di cinema a tutti i costi che la priva di un motivo centrale ben definito, Lo stravagante mondo di Greenberg è, comunque, una pellicola degna di nota che meriterebbe un’attenzione che non avrà. Difficile incasellarla in un genere e, commercialmente parlando, è un difetto. Guardate in originale, se potete, questo incontro-scontro generazionale di anime alla deriva: se vi sentite un po’ naufraghi della vita, ne godrete.
Angelo Mozzetta
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