Conversation
Conversazione con Paolo Licata, regista di Picciridda che affronta il tema dell’allontanamento e della lontananza.
Vincitore di numerosi premi, tra cui il Globo d’Oro per la migliore opera prima, Paolo Licata è il protagonista della conversazione che segue.
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5 anni agoon
Picciridda è un melodramma nel quale la storia della piccola Lucia diventa il percorso di emancipazione di un intero universo femminile. Vincitore di numerosi premi, tra cui il Globo d’Oro per la migliore opera prima, Picciridda ha vinto il premio di miglior trailer del pubblico e il Premio film rivelazione della XVIII edizione del Trailer Film Fest 2020. Di seguito la conversazione con il regista del film Paolo Licata.
Nella prima sequenza ritroviamo Lucia nascosta dentro il pollaio. La madre la sta cercando ma lei continua a restare lì, protetta dal buio di quel piccolo spazio. Picciridda non si poteva aprire in modo migliore, anticipando nelle prime immagini l’essenza di un’esistenza al femminile costretta a nascondersi alla realtà e a portarne dentro il peso.
Ho trovato la scena molto appropriata per il suo essere narrativa e allo stesso tempo metaforica. In questo senso il contrasto tra l’oscurità interna del pollaio e la luminosità dell’ambiente esterno a cui ad un certo punto Lucia è costretta a tornare dal punto di vista fotografico ribadisce sempre lo stesso concetto. Oltre a definire lo stato d’animo della protagonista il contrasto di luci ci parla ancora di più della dimensione interiore a cui le donne affidano i segreti delle loro esistenze e i tormenti che ne conseguono.
Si, certo come pure la luce immediata è messa apposta per creare fastidio e quindi per far emergere i moti dell’animo della bambina. E poi. come dici. il contrasto fotografico rimanda alla materia interiore che costituisce parte del film, quella di cui sono fatti il dolore e la sofferenza di un’intera generazione di donne e forse anche più di una.
La sequenza successiva si apre su quello che potrebbe essere un altro tema del film poichè le immagini ci mostrano il momento della partenza dei genitori della bambina, costretti a emigrare nella speranza di trovare un lavoro. Si tratta di un inizio sviante perché il concetto di immigrazione si allarga a significati più ampi. In questo modo la Sicilia diventa la terra dalla quale bisogna fuggire per poter sopravvivere soprattutto in termini fisici e psicologici.
Come si diceva inizialmente in Picciridda l’allontanamento è causato dalla mancanza di lavoro. In realtà il film ne racconta una seconda ragione, quella motivata dall’oppressione di una società patriarcale allo stesso tempo violenta e omertosa.
Si assolutamente. In realtà la protagonista ama quegli spazi Nella prima parte vediamo che il rapporto tra la bambina e i luoghi della sua infanzia è molto intimo. Tutto questo rende poi ancora più forte il momento in cui avrà la necessità di staccarsene. Alla fine, per come la vedo io, in realtà la vera violenza che subisce la protagonista, ancor più di quella fisica è proprio il fatto dei essere esclusa dai luoghi che tanto ama, di essere privata del sentimento verso quelle terre. Ci sarà un momento in cui Lucia arriverà persino a detestarle tanto da non volervi tornare finché non diventerà adulta. Quindi secondo me è questa la vera violenza da lei subita, poi risolta in modo simbolico nella sezione conclusiva.
Alla fine quella di Picciridda è la storia di un’ emancipazione al femminile compiuta attraverso una serie di rinunce e di sacrifici attraverso cui le donne arrivano a liberarsi dal male che le affligge.
Chiaramente un po tutti i personaggi soprattutto quelli femminili hanno i loro problemi che cercano di risolvere. Poi chiaramente ci focalizziamo su quelli principali.
Te lo chiedevo poiché Picciridda pur raccontando una tipo di comunità patriarcale e perciò lontana dai modelli contemporanei in realtà è un film molto attuale proprio per il percorso di emancipazione di cui si parlava.
In questo senso mi pare che il personaggio della nonna di Lucia interpretato da Lucia Sardo sia la figura centrale, decisiva sia dal punto di vista narrativo sia drammaturgico. Lo svelamento di ciò che si nasconde dietro la durezza dei suoi modi va di pari passo con lo scoperta delle verità del film.
Si è tanto vero che fondamentalmente lei è considerata centrale alla pari di Lucia. La stessa Lucia Sardo quando è candidata ai premi lo è come miglior attrice protagonista proprio perché quel ruolo non è certamente marginale o di accompagnamento. Comunque un film pieno di interpreti femminili ci tengo a sottolineare l’efficacia del lavoro svolto dal protagonista maschile Claudio Collovà perchè la sua versione di Zio Saro è di quelle che ti restano dentro.
Allora il termine melodrammatico è perfettamente appropriato e mi fa piacere che tu lo abbia notato. Si tratta di un osservazione molto acuta. Io sono nato e cresciuto nel teatro lirico, mio padre è direttore d’orchestra, mia madre una pianista. Ho una discreta conoscenza del repertorio lirico italiano, da Puccini a Verdi, perché questo è il repertorio principale di mio padre: sono cresciuto facendo l’assistente in diverse opere liriche da lui dirette per cui questo repertorio è inevitabilmente dentro di me. Devo dirti che non è stata neanche troppo internazionale dare questa sfumatura al film. Penso sia venuta fuori naturalmente per il tipo di bagaglio culturale che ho e perché questo sono io. All’interno di Picciridda ho messo tutto quello che sono quindi è venuta fuori la rappresentazione del mio animo.
A tal proposito volevo citarti una delle sequenze più belle, quella in cui vediamo il personaggio di Katia Greco camminare nuda per strada subito dopo aver subito violenza. In quel passaggio secondo me condensi l’essenza del tuo film. Mi riferisco alla maniera in cui la metti in scena: l’utilizzo della dilatazione temporale data dal rallenty, l’accompagnamento musicale fornito dal brano operistico e infine la frenesia del montaggio alternato sembrano dare corpo alla natura melodrammatica di Picciridda.
Le scelte fotografiche ci mostrano una Sicilia calda e assolata ma anche un territorio aspro e ancestrale per molti versi duro. L’enfatizzazione della sua bellezza ti prende dentro le viscere facendo da controcanto agli accadimenti che invece sono violenti al punto da acuire il rapporto di odio e amore nei confronti di quella terra.
Picciridda è un film saturo di colori. Basterebbe vedere il rosso del sangue o il giallo dei raggi solari per rendersene conto.
Si, soprattuto il giallo e il rosso sono i colori dominanti. Anche se devo dirti che gli interventi in post produzione sono stati meno di quanto si potrebbe immaginare. Già nel file del girato apparivano così, poi, certo, io ho enfatizzato il tutto ulteriormente proprio per rendere questo contrasto di emozioni in bilico tra amore e odio. Questo per dire che i luoghi già in partenza offrivano quest’immagine qui.
Picciridda è tratto dal romanzo di Catena Fiorello che insieme a lei avete sceneggiato. Quanto è rimasto della pagina scritta e cosa invece è andato perso. E ancora in fase di riscrittura a cosa avete mirato di più?
In fase di preparazione del film mi chiedevo se avessi visto due film di Emanuele Crialese e cioè Respiro e Nuovomondo. Nel paesaggio di Picciridda ho trovato gli echi di quelli presenti nei film in questione.
Per finire ti chiedo del tuo film del cuore.
E’ una domanda difficilissima a cui rispondere. Posso dirti che quando ero piccolo ha avuto un fortissimo impatto su di me Nuovo Cinema Paradiso per ragioni ovvie. Si tratta di un film di facile comprensione, accessibile al pubblico e soprattutto per un siciliano è di forte richiamo per via dei posti che conosco molto bene. Non è il mio preferito ma è il primo che mi ha spinto all’idea di fare il regista. E’ lui che mi ha trasmesso il fascino di fare cinema.