‘Il conformista’ di Bernardo Bertolucci, con Jean-Louis Trintignant
Tratto dal romanzo di omonimo di Alberto Moravia, Il conformista è un film ambiguo e raffinato su un fascismo visto come "malattia mortale" della borghesia. La regia è ottima nel gestire i tempi della convulsa sceneggiatura a flashback, garantendo un ritmo brillante per tutta la durata. Enorme successo, lanciò Bertolucci nel mercato internazionale
Il conformista è un film del 1970 diretto da Bernardo Bertolucci e tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia. Nel 1969, nei giorni in cui Bernardo Bertolucci stava preparando e montando il film Strategia del ragno, arrivava improvvisamente la richiesta di un’idea per un film da parte della Paramount, che in Italia si chiamava Mars Film. Il regista raccontò la storia del romanzo Il conformista di Alberto Moravia che in realtà non aveva ancora letto ma gli era stato raccontato dettagliatamente dalla sua compagna di allora, Maria Paola Maino. Bertolucci lesse il romanzo e in un mese scrisse la sceneggiatura che venne poi approvata. Con un budget di 750.000 dollari, iniziò la ricerca dei collaboratori. Sceneggiato da Bernardo Bertolucci, con la fotografia di Vittorio Storaro, il montaggio di Franco Arcalli e le musiche di Georges Delerue, Il conformista è interpretato da Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda, Pierre Clementi, Gastone Moschin.
La trama de Il conformista
Marcello vive nel rimorso di aver ucciso a 13 anni un tassista che voleva violentarlo. In viaggio di nozze, nel 1937, va a Parigi per preparare l’omicidio del professor Quadri, esule antifascista che era stato suo maestro all’Università. Nonostante i sospetti della moglie di Quadri, attratta peraltro da Giulia, moglie di Marcello, l’assassinio riesce. Il 25 luglio ’43, tra la folla in festa per la caduta del fascismo, Marcello incontra l’autista che credeva di aver ucciso.
La recensione
Il conformista di Bernardo Bertolucci uscì nel 1970 e si avvalse della interpretazione di attori di successo, come Jean Louis Trintignan, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda e Gastone Moschin. Il film si ispira al romanzo omonimo di Alberto Moravia del 1951, ma non è fedelissimo al testo originale. Il film accentua molto l’aspetto politico del tema. Qui è la sostanziale differenza tra il romanzo e la sua trasposizione cinematografica. All’infanzia si accenna con qualche flash back, ma la storia si concentra soprattutto sull’età adulta del protagonista. Il regista ne amplifica il carattere spregevole, lo rappresenta come il fascista ambizioso e privo di scrupoli, che si conforma alla “normalità” più per opportunismo che per una esigenza interiore. Ogni personaggio è rappresentato nella sua luce peggiore. Egli sembra voler condannare in tutto il suo complesso l’umanità di quell’epoca sciagurata. Non si sofferma neanche a sottolineare quegli aspetti positivi, per quanto debolì, del personaggio Quadri, vittima del più basso tradimento da parte di Marcello.
Film fra i più celebrati di Bertolucci, deve tutto ad una regia straordinaria nel gestire i tempi della convulsa sceneggiatura a flashback, garantendo un ritmo brillante per tutta la durata, nonché una tensione quasi angosciosa per quanto stemperata da una sordida ironia. Si è parlato tanto di un Bertolucci “hollywoodiano”, ma Il conformista appartiene ancora, probabilmente, al Bertolucci “francese” del primo decennio di carriera, in particolare quello criptico e inquietante del coevo Strategia del ragno.
Restano irrisolti alcuni nodi del copione, specie quelli che fanno riferimento alla componente sessuale/patologica (il rapido disegno dei personaggi secondari, familiari, amici, camerati), nonché all’evoluzione psicologica e comportamentale del quadrilatero (Clerici, Quadri e rispettive mogli: a proposito, duello di recitazione stravinto dalla coppia Jean- Louis Trintignant/Stefania Sandrelli); e non si può soprassedere su una certa programmaticità metaforica nel “messaggio”, servendosi del Mito della Caverna e della cecità come facili allegorie di una società inconsapevolmente sottomessa ad un Potere in grado di livellare ogni diversità. Resta tuttavia un’opera suggestiva, ricca di scene capaci di rimanere nella memoria: una per tutte, la resa dei conti finale, ammirevole sequenza di violenza “sorda”, 30 anni prima di Jacques Audiard.
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