Già Palma d’Oro a Cannes nel 2007 con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, Cristian Mungiu con il suo quinto film, Un padre, una figlia, denuncia la difficoltà di far coincidere gli interessi della sfera privata con quelli più generali di un paese. La sua regia, implacabile e lucida, è stata insignita del Prix de la mise en scéne al Festival di Cannes del 2016
Un padre, una figlia (Bacalaureat) è un film del 2016 diretto da Cristian Mungiu. Vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes del 2016, scritto e sceneggiato dallo stesso Mungiu, con la direzione della fotografia di Tudor Vladimir Panduru, le scenografie di Simona Paduretu, i costumi di Brandusa Ioan e la produzione, tra gli altri, dei fratelli Dardenne, Un padre, una figlia è interpretato da Adrian Titieni, Maria-Victoria Dragus, Lia Bugnar, Malina Malovici, Vlad Ivanov.
Cristian Mungiu: “Un padre, una figlia fotografa quel particolare momento della vita in cui ci si rende conto di aver superato la metà della propria esistenza, quando ciò che si è diventati è ben diverso da quello che si immaginava da giovani. Eppure, è anche il momento in cui si sente che c’è ancora qualche cosa da poter fare attraverso i figli, qualcosa che potrebbe dare un significato a tutte le difficoltà affrontate: salvaguardare i figli, educarli bene e a far loro fare scelte migliori delle proprie. Tuttavia, non è così semplice“.
Sinossi Romeo è un medico di quasi cinquant’anni, che si è lasciato dietro le illusioni legate al suo matrimonio, oramai naufragato, e alla sua Romania, frantumata dagli eventi. Per lui, la figlia diciottenne è tutto ciò che conta. Vicina agli esami di maturità, la ragazza sarà mandata a studiare in una prestigiosa scuola in Inghilterra. Alla vigilia dell’esame viene, però, aggredita per strada. Romeo farà di tutto affinché tale evento non disturbi il destino che ha scelto per la figlia.
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Dalla Romania al mondo intero, una storia sui dilemmi dell’onestà, della colpa, dell’ambizione e del desiderio: così Cristian Mungiu, regista romeno classe 1968, già Palma d’Oro a Cannes nel 2007 con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, costruisce il suo quinto film, Un padre, una figlia, partendo da una famiglia della classe media (padre medico, madre bibliotecaria, figlia al liceo) di un paesino della Transilvania, per allargare la visuale da un lato ai gangli della corruzione striscianti nelle pieghe più imprevedibili della società, e non solo ad Est, dall’altro alle scelte in conflitto con la propria coscienza che ciascun uomo può trovarsi a dover fare.
Il protagonista, Romeo, è, infatti, un medico rispettabile, con moglie e figlia, che per anni non ha mai ceduto alle piccole scorciatoie che abbondano invece nel suo paesino, finché due eventi inattesi non cambiano il corso delle cose: s’innamora della bella insegnante d’inglese della figlia, avviando con lei una storia extra coniugale e, avvenimento ancor più dirompente, la figlia Eliza, bravissima negli studi, viene aggredita e quasi violentata vicino alla scuola il giorno prima degli esami di diploma da cui dipendono un’agognata borsa di studio a Cambridge e il futuro stesso della ragazza. La vita sembra complicarsi in modo inestricabile e Romeo cerca di risolvere la situazione ricorrendo ad ogni mezzo, dapprima chiedendo al preside di avere un occhio di riguardo per la figlia e poi spingendosi oltre, con l’aiuto di un piccolo boss locale, a cui promette un trapianto da lungo atteso ,e con la complicità del suo amico d’infanzia ispettore capo della polizia.
L’attore Adrian Titieni, nel ruolo di Romeo, mostra bene l’evoluzione del personaggio, le sue perplessità e ansie di controllo, ma anche la sua determinazione a portare avanti per la figlia l’ideale di una vita migliore – incurante che i desideri di lei sono altri, restare in Romania con il suo ragazzo, la madre e l’adorata nonna – quello che lui e la moglie avevano sognato da giovani e che si è scontrato con la dura realtà di un Paese e di un’epoca critica e priva di prospettive.
Delle tante massime universali che si potrebbero citare, da ‘il fine giustifica i mezzi’ a ‘l’occasione fa l’uomo ladro’, Mungiu propone, fra le altre risposte possibili, almeno per l’uomo comune, quella di un poliziotto che si rivolge al protagonista proponendogli di chiudere un occhio su alcune interferenze telefoniche in cambio della consegna di un colpevole: ‘errare humanum est’. La morte naturale di anziani corrotti e la capacità dei giovani del film di non farsi manipolare sembrano offrire una sorta di spiraglio a un’atmosfera altrimenti irrespirabile, entro cui risuona estremamente attuale una frase/monito che Mungiu affida alla nonna di Eliza: “se i migliori decidono tutti di emigrare, chi cambierà questo Paese?”.