Stanotte su Iris alle 01,30 Agente Lemmy Caution: missione Alphaville, un film del 1965 diretto da Jean-Luc Godard, liberamente ispirato al personaggio dell’agente segreto Lemmy Caution, ideato dallo scrittore britannico Peter Cheyney. Il film combina i generi della fantascienza distopica e del film noir. Nonostante sia ambientato nel futuro e in un altro pianeta, nella dittatura tecnocratica di Alphaville, il film è girato a Parigi e la scenografia è costituita da edifici ed interni modernisti, stile anni sessanta; gli stessi personaggi si riferiscono ad eventi del ventesimo secolo (il protagonista si definisce “veterano di Guadalcanal”). Il ruolo di Lemmy Caution era già stato interpretato dall’attore Eddie Constantine ne L’agente federale Lemmy Caution (A toi de faire, mignonne, 1963). In questo film, l’agente Lemmy Caution si trova per la prima volta alle prese con un’indagine che si svolge in un’ambientazione fantascientifica.
Sinossi
L’agente Lemmy Caution deve compiere un’indagine ad Alphaville, città del futuro dominata dai computer in cui i sentimenti sono eliminati e si parla una sorta di Neolingua. Metafora orwelliana sul capitalismo avanzato, ma anche divertimento godardiano sul cinema popolare (Constantine interpretava davvero i polizieschi spinistici di serie B). Un anti-Bond di raffinato sperimentalismo, con una trama implosa, che a suo modo ha fatto scuola.
Il 14 dicembre del 1964 Godard concede un’intervista al Nouvel Observateur insieme all’attore e alla moglie Anna Karina, dalla quale divorzierà una settimana dopo, per annunciare che il prossimo sarà un film di fantascienza prodotto da André Michelin, figlio del celebre industriale dello pneumatico. Dopo il giallo, la Nouvelle Vague sta attraversando un periodo di interesse per un altro genere di fiction, la fantascienza: è significativo che François Truffaut abbia in cantiere la riduzione cinematografica di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Il budget raccolto da Michelin ammonta a 220 mila dollari, il doppio dei due precedenti film di Godard. Invece di costruire in uno studio di posa il suo futuro, Godard ricorre alla nuova architettura della trasformazione urbana di Parigi, in pieno svolgimento a metà anni Sessanta: Parigi contiene già in sé Alphaville. Per dare al film un’atmosfera particolare decide di girare non solo in bianco e nero, ma anche di notte, utilizzando una pellicola ultrasensibile, la Ilford HPS già sperimentata con Fino all’ultimo respiro nel quale però aveva dovuto ricorrere alla versione per macchina fotografica, con lunghe strisce di negativo non tagliate. Malgrado alla fine si siano dovuti gettare via parecchi metri di pellicola, il risultato è un film crepuscolare, immerso in un alone lunare, dal bianconero fortemente contrastato con volti e forme scolpiti da una luce incidente. Le condizioni delle riprese, tra gennaio e febbraio 1965, sono quasi proibitive, in un inverno estremamente rigido, per di più con il lavoro programmato di notte, sotto pioggia, nebbia e neve, talvolta dalle 21 alle 6 del mattino seguente.
Partendo dall’assunto che la città del futuro è già contenuta nella Parigi dei suoi tempi, Godard decide che l’estetica che gli serve per Alphaville è già presente egli esperimenti di “arte cinetica” del GRAV (Gruppo di ricerca d’arte visuale), la cui filosofia è: “Guerriglia culturale contro lo stato attuale delle cose: combattere tutto ciò che accresce lo stato di dipendenza, di apatia, di passività legato alle abitudini, ai criteri stabiliti, ai miti e agli schemi mentali nati da un condizionamento complice delle strutture del potere.” Il regista ha avuto modo di visionarne il lavoro alla Biennale di Parigi e ne ricava un’estetica d’atmosfera: indicazioni luminose, lampi al neon, tutto un ammiccare alla segnaletica urbana della città nuova, la città del futuro. Antoine de Baecque individua un’altra fonte d’ispirazione nel pamphlet La Francia contro la civiltà degli automi (La France contre les robots, 1944) scritto da Georges Bernanos durante l’esilio volontario in Brasile, mentre era in corso l’occupazione nazista. Bernanos immagina un mondo futuro spartito fra tre “democrazie moderne” (Impero Inglese, Plutocrazia Americana e Impero Sovietico), in realtà dittature tecnologiche dominate dal culto della scienza. Solo la Francia, imbevuta dei principi umanisti della Rivoluzione, sarebbe in grado di opporsi agli Stati-Robot. A proposito di questa scelta così poco cinematografica, Godard rispose: “Non ho voluto immaginare la società dell’Avvenire, come Wells. Al contrario, io racconto la storia di un uomo di vent’anni fa che scopre il mondo di oggi e se ne stupisce, o, se preferite, la storia di un uomo del tempo del Fronte Popolare che arriva nell’epoca del gaullismo.”
Per Godard questo film girato con la moglie dalla quale ha appena divorziato è “un’operazione di lutto”, un tentativo di unire artisticamente ciò che è separato sentimentalmente. Per lei richiede alla truccatrice Jackie Reynal un maquillage da attrice svedese del cinema muto, bianco sulle guance e il viso, nero intorno agli occhi. Il suo volto emerge dalla pellicola, fotografato prodigiosamente e con un’intensità fisica che volge la luce nel suo contrario. Non può non essere simbolico il ruolo che affida a Anna Karina, dal momento che Natacha Von Braun è una donna che non capisce la parola “amore”; come pure è simbolica la scelta del libro Capitale de la douleur di Paul Éluard, raccolta di poesie sulla perdita di un amore: Gala, la moglie dell’autore, lo aveva lasciato per Salvador Dalí, dopo una lunga storia con Max Ernst. Alphaville è dunque la storia di due amori paralleli che finiscono, Godard/Karina e Éluard/Gala, e la Capitale del dolore è la città in cui neppure si conosce il significato della parola “amore”. Il film vinse l’Orso d’oro al Festival di Berlino del 1965.