Film da Vedere

Padre padrone di Paolo e Vittorio Taviani

Tratto dal romanzo autobiografico del glottologo Gavino Ledda, Padre padrone, film vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1977 (decisiva fu la ferma posizione di Rossellini, presidente di giuria), segnò la consacrazione dei fratelli Taviani, diventando il loro più grande successo internazionale. Da non perdere

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Padre padrone, un film del 1977 scritto e diretto da Paolo e Vittorio Taviani, liberamente tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Gavino Ledda. La vicenda, ambientata in Sardegna, segue il riscatto d’un giovane pastore dal dispotico capofamiglia che, per necessità, lo strappò alla scuola da bambino lasciandolo analfabeta sino all’età di vent’anni. Inizialmente concepito come sceneggiato tv, venne presentato al 30º Festival di Cannes dove si aggiudicò la Palma d’oro e il premio della critica internazionale Fipresci, grazie, soprattutto, alla ferma decisione di Roberto Rossellini che presiedeva la Giuria. Proiettato in Italia il 2 settembre del ’77, fu il film spartiacque nella carriera dei Taviani e il loro maggior successo a livello internazionale. Fu presentato fuori concorso al Festival di Berlino, dove vinse L’Interfilm Grand Prix. Padre padrone ottenne quindi una risonanza internazionale, venne ovunque accolto con critiche favorevoli e segnò la consacrazione dei fratelli Taviani. In Italia venne distribuito il 2 Settembre del ’77, nello stesso mese partecipò al Festival di New York e a ottobre al Festival internazionale di Chicago. Dalla rete televisiva italiana fu trasmesso la prima volta il 10 Novembre del ’78. Con Saverio Marconi, Omero Antonutti, Marcella Michelangeli, Nanni Moretti, Fabrizio Forte.

Sinossi
Gavino, un bambino sardo, studierebbe volentieri, ma a sei anni il padre già lo strappa dalla scuola per fargli fare il pastore. Un sopruso dopo l’altro (con tanto di botte), Gavino cresce. Va militare e comincia a leggere. Aiutato da un amico, riesce a farsi una cultura. Ma la lotta con il padre continua: finirà quando i due si scontreranno sul piano fisico e il giovane avrà la meglio. Gavino studia, va all’università e si laurea. La vita di Gavino Ledda, l’autodidatta scrittore, tratta dal suo libro.

L’opera liberamente tratta dal romanzo autobiografico del glottologo Gavino Ledda (che, con la sua testimonianza, apre e chiude il film) ha ottenuto la Palma d’oro a Cannes di un irremovibile Roberto Rossellini (anche se era un prodotto televisivo) ed è stata uno dei maggiori successi di pubblico per i fratelli Taviani. L’argomento trattato solo apparentemente si discosta dai temi usuali dei due pisani: quella di Ledda è, per una volta, una rivoluzione compiuta contro il sistema (sardo), la sua cultura monolitica, i suoi padri-padroni (Omero Antonutti, “scoperto” dai registi a teatro). Acquisendo vari strumenti di conoscenza, conquistando il linguaggio verbale, spezzando l’isolamento (facendo il militare proprio a Pisa), il protagonista riesce a superare il terrore nei rapporti con il genitore, generato da percosse, ignoranza, tradizione, miseria (i Taviani non cercano mai la scorciatoia della demonizzazione del singolo: scrutano le radici infami nei costumi, nella cultura). I registi, al solito, non sorprendono solo con il contenuto ma anche con la forma, magnificamente sospesa fra Bellocchio e Fellini, fra dramma realistico e respiro mitico, fiaba popolare crudele (e triviale) e registri grotteschi, straniamento surreale (le didascalie che traducono il pensiero e l’overlapping di voci off: l’ansimare nell’eccitazione sessuale, il vociare in paese), sguardo infantile (bellissima la lettura del pensiero degli scolari atterriti) e simbolismi vari (il pesante santino, durante la processione, che assume le fattezze del padre). Uno splendido uso dei silenzi, degli spazi, delle fasi di isolamento: grande cinema dolente, intenso, affrancato da qualsiasi compromesso.

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