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72 Festival di Cannes: Matthias & Maxime di Xavier Dolan Cannes (Concorso)

Torna a fare quello che sa fare bene Xavier Dolan, mantenendo i tratti distintivi del suo cinema e regalando un nuovo toccante racconto di formazione

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Xavier Dolan torna a fare quello che sa fare bene in Matthias & Maxime, il suo ultimo sforzo presentato in concorso al 72º Festival di Cannes. L’ex ragazzo prodigio canadese rientra comodamente e sapientemente nelle sue corde, dando forma a un lavoro che testimonia fedelmente il mantenimento dei tratti distintivi del suo cinema, comprendendone peraltro un’evoluzione. I più critici nei suoi confronti gli attribuiscono un colpevole non riuscire a cambiare, un ostinarsi a ribadire sempre lo stesso modo di comunicare, di emozionarsi e di emozionare, di trasmettere quella emotività un po’ infantile e urgente, nonostante non sia più un ventenne al suo esordio ma un trentenne al suo ottavo film. Sono certamente punti di vista ma, francamente, si può vedere la stessa materia prima da una prospettiva esattamente opposta e cioè considerare il fatto che quel linguaggio sia  la maggiore virtù di Xavier Dolan e rappresenti la sua essenza, come sia proprio in quell’urgenza, oltretutto in questo film rappresentata in modo molto meno ipertrofico rispetto ai film precedenti, che risiede tutta la sua creatività, la sua vitalità, la sua autenticità. Se cambiasse proprio questo aspetto, se davvero un giorno si facesse convincere dai detrattori, modificando la sua spontaneità per compiacere critica e pubblico, non farebbe altro che dimostrare davvero l’immaturità che gli imputano, snaturandosi nell’adeguarsi alle aspettative degli altri e nel non volere abbastanza bene a se stesso, ma soprattutto minerebbe un modo di fare cinema sincero, infantile (ancora, sì, a trent’anni, grazie a Dio) nel senso più bello del termine, colorato, impaziente, prepotente ma nello stesso tempo strapieno di anima, traboccante di emozionalità e di vita, che gli è proprio e che rappresenta la sua forza, dando forma probabilmente a qualcosa di posticcio e innaturale, a un surrogato che non gli apparterrebbe. E, oltre ad essere un peccato infinito, sarebbe davvero un disastro. Sarebbe come dire a un qualsiasi adulto di crescere, di abbandonare il bimbo che fa ancora parte di lui, di diventare più assennato e smettere di dare ascolto e voce al proprio sentire più puro, a ciò che è rimasto di lui ancora privo di difese, sovrastrutture e formalità. E una cosa del genere, non c’è bisogno di essere uno psicologo o un esperto per dirlo, si sa, non si dice a nessun adulto. Che quel bambino dovrebbe tenerselo bello stretto per sempre.

Così, per fortuna Dolan ne mantiene una componente così energica e vitale, che ancora sogna come un adolescente e scrive e gira spinto dall’urgenza di esprimere quello che ha dentro, anziché dalla forma che deve dargli, anzi, meglio, gli dà la sua di forma. Ed è una forma che continua a mantenere degli elementi bellissimi, dotati di vita propria, che si concretizzano in alcune scene madri contornate da colori e musiche sempre efficaci e coinvolgenti. Nello stesso tempo, si vede chiaramente che, peraltro, l’autore canadese ha fatto uno sforzo non indifferente per rendere meno straripanti alcuni aspetti del suo cinema, raggiungendo un risultato senza dubbio più pacato e meno traboccante e stemperando, in qualche modo, le componenti del suo linguaggio che lo rendevano per alcuni sovraccarico, peccante di vanità e condizionato da un ego ipertrofico. La tematica che Dolan teneva maggiormente a trattare con questo film è quella dell’amicizia. In particolare ,l’amicizia di gruppo, le sue dinamiche, la sua spensieratezza, i suoi conflitti.

Il cast di Matthias & Maxime è costituito da un gruppo di ragazzi poco noti al grande cinema, particolare attenzione va data a Gabriel D’Almeida Freitas, nel non ruolo di Matthias, uno dei due protagonisti insieme allo stesso Dolan che, come in altri suoi lavori (J’ai tuè ma mere, Les amours imaginaires, Tom à la ferme), conferma sia il suo desiderio di affermarsi anche come attore (più volte ha affermato che ha sempre amato più recitare che fare il regista) che la capacità di scegliere efficacemente i suoi attori. Mantiene la presenza affezionata della sua musa Anne Dorval, ancora una volta nel ruolo della madre.

Dal punto di vista contenutistico è assolutamente riconoscibile, oltre alla presenza, come accennato sopra, di elementi tecnici e formali tipici dell’autore canadese, la rappresentazione sempre molto realistica di dinamiche relazionali e affettive di un certo tipo, al cui centro spicca sempre una grande inaccessibilità, espressa ancora una volta con reazioni forti e volumi alti, incrementati nel tentativo di colmare la frustrazione di un’incomunicabilità verso la quale ci si sente impotenti. A chi glielo ha domandato, Dolan ha tenuto a precisare, in conferenza stampa, che non si tratta di una versione gay di Lawrence anyways, anzi che non si tratta di un film che tratta di omosessualità ma di amore. Un’opera che cerca di esplorare il fatto che sia possibile che a un uomo di trent’anni, già adulto, che ha già acquisito e consolidato il suo modo di vivere la sua vita, la sua sessualità, la sua affettività, possa ancora capitare qualcosa che faccia crollare tutte le sue certezze, obbligandolo a porsi delle domande e a rimettere in dubbio l’ordine delle cose. Dolan dice di amare molto i personaggi che sono in conflitto con la loro natura profonda e che a un certo punto questo conflitto li costringa ad avere delle reazioni forti. Sempre intervistato, durante la presentazione, denuncia il fatto che la società dia ancora, e purtroppo, dei messaggi in qualche modo tossici, definendo in maniera troppo limitata cosa sia un uomo o cosa sia un omosessuale, costringendo le persone e i loro sentimenti in delle categorie che non possono che stargli strette, dove tutto è ordinato e composto ma limita enormemente la realtà. Quello che chiedono di fare a lui con il suo cinema, insomma.

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  • Anno: 2019
  • Durata: 119'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Canada
  • Regia: Xavier Dolan