Dopo aver visto la serie Netflix Osmosis mi sono sentito come il Nanni Moretti di Aprile mentre si tormenta (ingiustamente) per Strange Days di Kathryn Bigelow. Ma mentre Moretti sbagliava nel bocciare quel film, io credo e spero di non peccare di spocchia nel dire che questa serie francese sia un vagare nel nulla. 8 lunghissimi e fastidiosi episodi, uno peggio dell’altro. In breve tutto verte su una nuova tecnologia, Osmosis appunto, che permette di incontrare l’anima gemella. Un gruppo di candidati si offrono come cavie prima di mettere il prodotto in commercio. Un prodotto tutto concentrato in una pillola capace di adattarsi a specifici tratti psico-sensoriali.
Gli ideatori di questa incredibile rivoluzione degli affetti sono due fratelli, Paul e Esther, due brillanti ricercatori di neuropsicologia. Di tutte le cavie, chiamati beta tester, a noi è dato seguire (per fortuna) le vicende di tre di questi. Sì, siamo in zona Black Mirror ma mentre la serie di Charlie Brooker aveva affrontato l’argomento (l’episodio della quarta stagione intitolato Hang the DJ) concentrando il tutto in 50 minuti, Osmosis, ideato da Audrey Fouché, la tira troppo per le lunghe finendo per diventare non solo noioso ma anche inutile.
Il tema, certo, resta comunque affascinante: la natura dell’amore, gli effetti della certezza della felicità. Osmosis è “un progetto totalitario presentato nella più bella confezione: l’amore”, dicono gli antagonisti di Paul ed Esther, autodefiniti da loro stessi degli umanisti. “È un colpo di stato contro l’umanità”, “Nessun algoritmo può dirti come sentirti”, la perdita del libero arbitrio. Sì, sulla carta tutto molto bello, sensato e potenzialmente coinvolgente. Peccato che episodio dopo episodio la serie diventa un colpo di stato contro la pazienza dello spettatore. Questo perché più si va avanti più tematiche antiche (si pensi al Simposio platonico) vengono sciorinate con ridicoli e forzati colpi di scena, sdolcinate immagini a rallentatore e dialoghi imbarazzanti.
Quando sembra che di peggio non si possa fare ecco che Osmosis affonda il coltello con un finale che risulta posticcio, ridicolo. La struttura si accartoccia su se stessa, aggiungendo alla matassa nuovi elementi. Si fosse andati per sottrazione probabilmente sarebbe stato meglio. Già perché la serie non solo vuole segnalarci la tirannia della felicità, no, aggiunge tematiche su tematiche. Si appesantisce. Passando dal tema del lutto a quello del rimosso fino ad infilarci dentro la questione sulla intelligenza artificiale sull’eterna scia di 2001: Odissea nello spazio. Amore e morte proposti come un insieme malconcio. Tutto in Osmosis si regge con un nastro adesivo sottilissimo. Lo spettatore, se ha la pazienza di arrivare alla fine si domanda “Ma perché?”.
Difficile trovare un senso logico alle scelte dei protagonisti, difficile capire perché agiscano in un determinato modo. L’unico personaggio che riesce a salvarsi è Billie, interpretato da Yuming Hey, questo perché sembra il soggetto maggiormente credibile, con un cervello funzionante e una sensibilità stabile. Il resto dei personaggi invece sfodera scelte sostanzialmente inutili. Lo spettatore che poi dovesse guardare la serie nella versione doppiata potrebbe incappare in ulteriori incomprensioni.
Un “Non posso tornare a casa” diventa “Non voglio disturbare”, ossia l’esatto contrario. O ancora un “Smettila di fumare” diventa “Smettila di filmare”, filmare e fumare sono due cose leggermente diverse. Ciliegina sulla torta, in un momento in cui nella versione originale non viene detto nulla, nel doppiaggio si aggiunge gratuitamente la frase “Calmati, andrà tutto bene”. Ma perché? Mah, forse anche in fase di doppiaggio si voleva cercare di dare un po’ di brio a questa serie spenta, stucchevole ed inconcludente. Una serie che ha lasciato il sottoscritto parecchio perplesso.
Il picco di tutto è stato forse quando nel sesto episodio si arriva ad una conclusione per me ovvia sul possibile utilizzo di Osmosis. Mi son ritrovato a dire che fosse meravigliosamente intuitivo comprendere che la pillolina di Osmosis potesse avere ulteriori potenziali oltre a quello legato ai sentimenti, alla registrazione ormonale, alla sorveglianza emozionale. No, purtroppo niente è logico in questa serie francese. 8 episodi di 40 minuti che invece di coinvolgere finiscono per far mettere il povero spettatore in posizione fetale, attendendo in modo masochista, la agognata e liberatoria conclusione.
Nelson Pinna