Partendo dai grandi personaggi della letteratura nella tua striscia quotidiana che va in onda ogni giorno a Radio 24 hai deciso di dedicarti anche a quelli cinematografici. Detto che l’apertura è stata all’insegna del grande cinema americano, con le puntate incentrate su Vito Corleone de Il padrino e Alex De Large di Arancia Meccanica, volevo chiederti se questo può essere un riconoscimento alla letterarietà del cinema e quindi alla capacità della settima arte di saperla contemplare, ampliandone la portata attraverso le immagini?
Sicuramente il cinema è un’arte che ha la stessa dignità della letteratura. Ognuno di noi ha dei film che gli hanno cambiato la vita o che ha rivisto dopo molti anni ricavandone un piacere nuovo e diverso. Per questo, sulla scia di quanto fatto con personaggi del calibro di Maigret e Raskolnikov che avevamo raccontato alla stregua di persone realmente esistite ci è venuto in mente di fare lo stesso con quelli del cinema.
Com’è successo nel passaggio dalla pittura alla fotografia, la trasformazione del racconto orale in narrazione per immagini ha messo in secondo piano l’esistente a favore della novità. Al contrario, oggi, la svalutazione delle immagini dovuta all’overdose dell’offerta visiva rivaluta la potenza della parola e dunque può offrire a un programma come il tuo ulteriore fascinazione.
Sono d’accordo perché il linguaggio parlato senza l’ausilio delle immagini talvolta può dare suggestioni addirittura superiori al formato tradizionale. Chi ti dice che il goal raccontato da Nicolò Carosio fosse meno interessante ed evocativo di quello che oggi vediamo ripreso da dieci angolazioni diverse? L’importante è riuscire a stimolare l’emotività, indipendentemente da come lo fai.
Nel particolare, raccontare il cinema attraverso il mezzo radiofonico ti permette di rimettere al centro dell’attenzione i vari elementi della sceneggiatura riportandoli in primo piano rispetto allo strapotere delle immagini. Così facendo la drammaturgia, i dialoghi e le parole risorgono a nuova vita.
Ma si, d’altronde le grandi storie e le grandi vite immaginate nei film in qualche modo sono soggette a cali d’interesse da parte degli spettatori che poi le rivalutano in altri momenti della loro vita. Come dicevo, quando guardi lo stesso film a vent’anni e poi a quaranta lo fai con diversa sensibilità e con una percezione capace di farti vedere sfumature che non avevi colto o considerato.
Rispetto ai contenuti della trasmissione tu diventi in qualche modo il regista e insieme l’attore. Ti chiedo se quelle appena dette sono modalità di cui tieni conto nella “messa in scena” dei personaggi.
Il regista e l’attore sono sensibilità diverse o forse sono modi diversi di guardare la stessa cosa. Più persone si rivolgono alla stessa cosa, più punti di vista ci sono e più bello è occuparsene. Ci sono degli argomenti della vita che sono destinati a non essere risolti ma è comunque affascinante parlarne.
In questo senso utilizzi degli stratagemmi nel presentare le storie ai tuoi ascoltatori?
Il mio approccio è all’insegna dello stupore. La stessa storia va raccontata come se il film non esistesse. Il trucco drammaturgico, e oserei dire tecnico, è proprio questo.
Leggendo i nomi dei personaggi che avete scelto per il momento, mi pare di trovare una prevalenza di film della cosiddetta nuova Hollywood, ovvero di un periodo unico nel panorama americano per la libertà con cui gli autori parlavano al proprio pubblico. Si può dire che è un tipo di cinema che si addice a un artista libero e versatile come hai dimostrato di essere nel corso della tua carriera? Esiste questa corrispondenza?
Forse si tratta di una cosa casuale perché ci sono i meravigliosi film di quella che tu chiami la New Hollywood ma anche i capolavori della commedia italiana degli anni cinquanta e settanta, come pure del grande cinema francese. Forse siamo partiti da una costante, ma è chiaro che ogni puntata viene bene se molte persone hanno visto i film e se il personaggio è stato per loro fondamentale. Ci sono delle figure potenzialmente interessanti, ma se nessuno conosce i film da cui sono tratte non suscitano la stessa attenzione di quelle presenti nei titoli più popolari. Così se non hai visto il film è più difficile che ti piaccia la puntata.
Nella scelta dei film come lavori con gli autori della trasmissione?
Avviene come in tutti i gruppi di lavoro che funzionano. Si parla, e alla fine non ti ricordi neanche di chi era l’idea. Per esperienza so che quando succede così il gruppo inizia a viaggiare e tutti remano nella stessa direzione.
Per concludere: a Enrico Ruggeri che tipo di cinema piace?
Io sono abbastanza onnivoro, non ho un cinema preferito, piuttosto ti posso dire quello che non mi piace, e cioè l’horror americano degli ultimi vent’anni; soprattutto quello per ragazzini non è il mio genere preferito. Allo stesso tempo penso che le eccellenze siano sempre belle. Ti faccio un esempio musicale: a me non piace quella latina ma amo i Santana, questo per dire che i numeri uno sono sempre interessanti da qualunque parti li guardi.