È peggio ricordare ciò che non è successo o dimenticare ciò che è successo davvero? (“Is it worst to remember what not happened or to forget what really happened?”). Lo spirito con cui Thunska Pansittivorakul ha realizzato The terrorists nel 2011 potrebbe essere racchiuso tutto in questa frase, sottolineata dal regista in persona nella masterclass che ha seguito la proiezione nell’ambito dell’Across Asia Film Festival a Cagliari.
Realizzato a distanza di un anno dai violentissimi scontri di piazza divampati a Bangkok tra forze di polizia e militari thailandesi e l’Udd (United front for Democracy against Dictatorship), movimento popolare rappresentato dalle “camicie rosse” (red shirts) contrarie al colpo di Stato militare che nel 2006 depose l’allora primo ministro eletto coi voti del popolo, il quinto lavoro del regista thailandese è un grido di rabbia e provocazione atto a far vedere l’invisibile, il dimenticato, il non accettato, attraverso la messa in gioco del proprio vissuto personale, usando la macchina da presa come strumento di denuncia sociale, scatola dei ricordi familiari e mezzo di sublimazione della (omo)sessualità urlata in tutta la sua normalità, sbattuta in faccia allo spettatore con forza e rabbia come le immagini delle torture e dei massacri di piazza, ma con la dolcezza intima di chi sta mostrando il suo canone di bellezza in un corpo maschile, fino alla provocazione estrema che culmina in una lunga scena di masturbazione, martellante in ogni minimo dettaglio.
La bellezza, la sessualità, la normalità, quello che non volete vedere. I soldati che sparano ad altezza d’uomo, i massacri degli anni ’70, le angherie del sistema sulla gente comune, quello che non volete vedere.
Il registro documentaristico che mostra la cronaca in presa diretta degli scontri sulle strade di Bangkok, col nervosismo della camera a mano, i boati degli spari e le interviste concitate alle persone inermi, è volutamente contrapposto (ma intimamente legato) alle immagini dalla fotografia poetica di un uomo nudo che fa il bagno nel silenzio di un fiume, mentre la voce narrante dell’autore mette a nudo se stesso nel rapporto conflittuale con la figura del padre, autorità da cui ogni uomo ha inevitabile bisogno di essere riconosciuto, anche quando si sente negato dal dover essere altro. Immagini e voce che usano il corpo e la riflessione personale come simbolo della società thailandese squassata dai conflitti, soffocata da un sistema autoritario che non la riconosce e ne reprime le pulsioni con la violenza. La sessualità, come vessillo politico e personale, diventa esplicita nella sequenza più irriverente che partendo dalle immagini eteree di un uomo che dorme, diafano nella sua nudità sotto la luce del sole, culmina nell’orgia masturbatoria mentre la voce narrante denuncia la demonizzazione mediatica dei movimenti di piazza, la falsificazione degli scontri, la condanna ideologica dei “terroristi”.
Condanna e mistificazione nella quale Thunska si rende conto di essere nato e cresciuto, come rivelerà nella masterclass successiva alla proiezione, ammettendo con onestà che inizialmente da universitario era interessato solo alla bellezza del corpo, e solo dopo aver scoperto quasi per caso cosa stava succedendo nella capitale ha cominciato a interessarsi alle persone, al modo in cui si viene educati a percepirle come inferiori in base al censo e all’area di provenienza, alla retorica thailandese delle smiling faces che troppo spesso nascondono le malattie sociali, e ha sviluppato l’idea di usare il corpo a più livelli, non solo estetici ma anche simbolici, sociali e politici. I terroristi sono dunque i pescatori nel buio con cui si apre il film, le popolazioni rurali e gli studenti che lottano disarmati in piazza, i “comunisti”, gli omosessuali, gli studenti e le vittime dei massacro del ’76, quando il regista era ancora bambino e attinge dall’album di famiglia ripercorrendo il suo rapporto con la madre per raccontarli in tutto il loro orrore. “Terroristi” è la parola che ha usato un sistema autoritario e ipocrita per tutte le categorie che non si devono vedere e che Thunska ha deciso di raccontare mostrando con rabbiosa ferocia un corpo martoriato dalle torture e dalle fiamme, e con intimità e sfrontatezza il fallo a pieno schermo di un uomo nudo, usando la propria esperienza e sensibilità come filo conduttore.
The Terrorists è un film di resistenza e rivoluzione, politica, sessuale, intellettuale che grida oltre i confini thailandesi realtà troppo ignorate e misconosciute all’interno dei confini stessi, che cerca di scuotere con l’aggressività di realtà scomode e con la grazia di una delle scene più liriche nella sua semplicità: un aeroporto, una stazione, diverse persone di ogni nazionalità in attesa di cominciare un viaggio, gesti rubati, espressioni del viso carpite in momenti, stati d’animo che si possono solo intuire nel silenzio distante dell’obiettivo, niente di esplicito.
Tra questi visi e gesti, quelli dei “terroristi”, del popolo, della gente comune che resiste. E la granitica verità che con tutti gli altri non si coglie la minima differenza.
Nicola Girau