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Attraverso la bidimensionalità dell’animazione raccontare la profondità prospettica di ogni tipo di sentimento. La recensione della quinta stagione di Bojack Horseman.

In questi anni guardare Bojack Horseman ha significato partecipare a un’esperienza d’intrattenimento totalizzante, su cui spendere impegno di ragionamento e in cui testare il proprio livello di partecipazione emotiva. Grazie alla competenza di autori straordinari queste sensazioni sono state confermate con la stessa intensità per la quinta volta consecutiva e la nuova stagione della serie targata Neflix si è dimostrata l’ultimo capitolo di un prodotto seriale sempre più interessato all’esplorazione dello spettro emozionale.

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Bojack Horseman  è stato capace ancora una volta di coniugare la natura incendiaria della narrativa del sentimento con la freddezza dell’analisi psicanalitica: lo ha fatto bilanciando la potenza demolitrice dei racconti più nichilisti con la forza costruttrice delle storie d’amore più vere e trovando nuove forme espressive per raccontare, pur attraverso la bidimensionalità dell’animazione, la profondità prospettica di ogni tipo di sensazione.

La stagione ha addensato dentro di sé il precipitato emotivo delle precedenti e ha trasformato questa densità in una consapevolezza attraverso cui misurare le scelte narrative presenti e riconsiderare quelle passate. Sono state risollevate le azioni commesse, le scelte, i rimorsi e i rimpianti per illuminare zone buie della mente e punti ciechi delle personalità dei personaggi.

Bojack Horseman

Allo stesso modo i singoli ed eterogenei approfondimenti psicologici sono stati utilizzati per dare corpo e veicolo a una satira capace di scucire certezze e tessere un discorso politico brillante e puntuale sulla disparità di genere, sulle molestie e sulla malattia mentale. In più lo show ha rinsaldato la sua abilità nell’unire episodi monotematici (come Free Churro, il capolavoro della stagione) alla narrazione del quadro generale, favorendo sempre una sinergia tra i singoli personaggi e la progressione generale della storia.

Il risultato complessivo è stato un ritorno superlativo, in grado di emozionare anche più degli anni precedenti grazie a una creatività intellettuale – lanciata verso un crescendo qualitativo irresistibile – capace di coniugare allo stato dell’arte raffinato miniaturismo psicologico e sensibile affresco sociale lungo tutti gli episodi.

Tornare sulle tracce dei percorsi esistenziali di Bojack, Diane, Mr. Peanutbutter e Princess Carolyn è stato come rigettarsi dentro al sangue di una ferita aperta; assistere al di là dello schermo alle loro sofferenze si è rivelato ancora equivalente alla visione a rallentatore di una esplosione affamata di corpi e felicità; accorgersi di essere di nuovo nel vortice di sentimenti raccontati così bene si è tradotto nella stabile certezza che sentire, provare qualcosa e forse soffrire è meglio che non sentire niente per fuggire al dolore.

bojack horseman

Bojack Horseman ci ha detto tutto questo un’altra volta, con il tono di un racconto personale e di una confessione sofferta, confezionando una fucilata puntata al nucleo privato, all’essenzialità organica dei sentimenti degli spettatori e insegnando che scoprirsi frangibili è l’ultima frontiera della verità, che il crollo è la prima pietra di una nuova costruzione e che ogni dolore lascerà spazio a nuova vita.

di Leonardo Strano

 

  • Anno: 2018
  • Durata: 12 episodi
  • Distribuzione: Netflix
  • Genere: Commedia, Drammatico
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Raphael Bob-Waksberg
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