Terzo giorno di festival dove, tra gli altri, è il turno del francese Olivier Assayas che, con Double vies (Non-Fiction), porta al Lido una ventata di comicità intellettuale (il regista è anche autore della sceneggiatura). Un omaggio, in parte, alle screwball comedy americane.
Alain (Guillaume Canet), editore belloccio che non crede nella digitalizzazione libraria, è sposato con Selena (Juliette Binoche, qui alla terza collaborazione con Assayas), attrice di fiction che sostiene il contrario, appoggiando l’ultima fatica di Léonard (Vincent Macaigne), scrittore impacciato e un po’ strambo (già nella scuderia di Alain), fidanzato con la caustica Valérie (Nora Hamzawi). Ecco, nulla in realtà è come sembra, perché Léonard ha una relazione clandestina con Selena, e Alain con la sua assistente bisessuale, Laure (Christa Théret). In tutto ciò si aggiunge Point final, l’ultimo libro di Léonard, racconto episodico-autobiografico (che lui, ostinatamente, continua a definire “autobiografia romanzata”) in cui vengono narrati i suoi peccati sessuali con le donne, tra cui quello con Selena (sotto lo pseudonimo di Xenia).
In un mondo dove ormai l’uso dell’analogico si sta sempre più estinguendo a favore di quello digitale, Assayas ha creato un prodotto tra pochade e commedia sofisticata in cui i dialoghi, velocissimi e arguti, rappresentato la dinamo incandescente della rappresentazione in sé. Sì, i dibattiti su vecchio-nuovo, algoritmi-non algoritmi, crisi-non crisi, ci fanno capire quanto il regista si serva dei personaggi per dar sfoggio di una contemporaneità in perenne mutazione, di una società liquida facilmente alterabile. O forse no. Forse Assayas ha voluto confutare questa teoria dei “maledetti” algoritmi (spiegata da Laure ad Alain dopo uno dei loro amplessi clandestini) in cui automatismi e calcoli, che ci indicano la nostra retta via su cosa comprare, cosa vedere, come comportarci, in realtà non contano così tanto. Forse sta semplicemente a noi, attraverso l’uso della parola e del sentimento implicito anche, capire quale sia la scelta migliore da fare in questo mondo così saturo di complicazioni, a volte estremamente futili. Ed è grazie al personaggio di Valérie, l’ottima Nora Hamzawi, che comprendiamo il significato di complicità sentimentale dietro una maschera salace farcita di cinismo, disillusione e ilarità: tra Rosalind Russell, Lorelai Gilmore e Karen Walker.
E bisogna ringraziare anche Léonard e Selena (Macaigne e Binoche, bravi e simpatici) per i gustosi scambi di battute, alcuni in modo particolare, in cui Assayas non lesina stoccate ai colleghi. In questo caso vengono coinvolti Il nastro bianco e Star Wars: Il risveglio della forza per raccontare, nel libro di Léonard, un episodio di sesso orale al cinema che li coinvolge. Si sa che Haneke “fa più chic” di J. J. Abrams.
Guillaume Canet, invece, pare l’unico un po’ più legnoso rispetto alle altre caratterizzazioni. Il risultato, comunque, risulta perfettamente in linea con i crismi delle commedie frizzanti, distaccandosi completamente dagli ultimi lavori del regista (i pur sempre interessanti Sils Maria e Personal Shopper). Anche se c’è un piccolo ma notevole fil-rouge: Juliette Binoche torna nei panni di un’attrice, sostituendo il tono farsesco a quello melodrammatico.