È sempre difficile trovare chiavi di lettura per inquadrare la decadenza di una nazione e sottolinearne le mancanze più gravi: Riccardo Rosati, museologo e grande studioso dell’Oriente, lo fa rivolgendo uno sguardo critico e tecnico sul patrimonio artistico italico, il più importante al mondo, che un rapporto a firma Pricewaterhouse Coopers, del 2009, identifica in oltre 3400 musei, circa 2100 aree e parchi archeologici e 43 siti Unesco.
La bellezza antimoderna è un libro ricolmo di passione e di competenze che senza tregua, quasi a perdifiato, attraversa una serie impressionante di pezzi unici dei nostri beni culturali, incautamente ignorati o amministrati non come il loro elevato valore storico-artistico richiederebbe.
Lo stile pungente ed essenziale dell’autore, privo di fronzoli o ambiguità di sorta, punta dritto allo scopo sciorinando efficacemente situazioni e vicende artistiche ai più sconosciuti. Come per esempio le collezioni militari, nell’ambito delle raccolte di armi moderne, che Rosati enumera mettendone in rilievo le peculiarità e la vocazione alla memoria storico – culturale. A Roma il Museo Storico della Fanteria e l’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio, a Terni, con l’Associazione Amici delle Armi di Terni (AMAT) e la loro idea di realizzare il Museo Internazionale delle Armi Leggere, a Torino il Museo Storico Nazionale dell’Artiglieria e a Trieste il Museo della Guerra per la Pace “Diego de Henriquez”, sono tutte facce di un’unica medaglia poco considerata e troppo spesso inopinatamente accantonata.
È questo solo l’incipit di un discorso ben più ampio e complesso infarcito di inediti e accompagnato dalla volontà ferrea di difendere la tradizione e la bellezza, nel solco di un ineluttabile primato antimoderno dell’arte. Avviene in ogni passaggio del testo, a cominciare dalla citazione di elementi meno noti del discorso, come il primato italiano nel campo delle più belle collezioni di balocchi, con la più importante relegata in giacenza presso i magazzini della Centrale Montemartini, o la presenza a Faenza, la città per antonomasia sinonimo di ceramica, del Museo Internazionale delle Ceramiche (MIC), fornito di una suggestiva miriade di pezzi, tra opere e volumi, che spaziano dall’antichità fino ai manufatti di artisti quali Henri Matisse e Pablo Picasso.
In questo contesto non fa difetto a Rosati la verve polemica e di denuncia che non cessa mai di avocare a sé la legittimazione di un passato, quello fascista e delle leggi Bottai fondanti l’intera materia legislativa dei Beni Culturali, che conduce il lettore a un serrato confronto, con fatti, uomini ed eventi di più di settant’anni fa, foriero di un’inevitabile attività di sottrazione storico – ideologica che un po’ limita l’ampiezza e la forza evocativa del messaggio stesso. Emblematico in questo senso il paragrafo che analizza la controversia circa l’idea della possibile istituzione di un Museo del Fascismo a Predappio che porta in dote la notizia del lavoro, già avviato, dallo storico Roberto Chiarini, per la costituzione di un percorso museale sulla Repubblica Sociale a Salò.
Tuttavia, è questo anche un passaggio esemplare di come l’eccelsa contribuzione divulgativa del libro di Rosati non ceda mai totalmente il passo al fragore della denuncia, fendendo la materia con l’asprezza della passione da troppo tempo non corrisposta, ma tale da non smarrire mai il sacro fuoco dello studioso di valore. La chiusura del libro è la consacrazione di questo dogma con una serie di articoli di pregio dedicati a mostre in essere tra il febbraio 2014 e il novembre 2016. Basti pensare al Museo dell’Ara Pacis di Roma con le 170 opere di Toulouse-Lautrec provenienti dalla collezione del Museo di Belle Arti di Budapest ospitate dal 4 dicembre 2015 all’8 maggio 2016 o l’esposizione che, nella ricorrenza del 150° anniversario delle relazioni tra il Giappone e l’Italia, Il Museo Nazionale d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci” (MNAO) ha dedicato, tra il 25 febbraio e il 30 giugno 2016, a delle opere giapponesi selezionate dalle sue collezioni, alcune delle quali assolutamente inedite per il pubblico romano.
In definitiva, La bellezza antimoderna, al di là delle polemiche ideologiche che sicuramente, e inevitabilmente, susciterà, porta in sé uno sprone per l’intero comparto dei Beni Culturali affinché nulla sia lasciato di intentato per una sempre maggiore ed efficace valorizzazione di un ambito, in specie quello museale, che troppo spesso latita nel lato oscuro della memoria delle Istituzioni.