Dopo Le vite degli altri, di Florian Henckel von Donnersmarck, il mondo oltre la cortina di ferro degli anni Ottanta torna nella sua opaca e trattenuta drammaticità nel film La scelta di Barbara. Ne è autore un altro dei più importanti registi tedeschi contemporanei: Christian Petzold.
Disponibile su Prime Video La Scelta di Barbara, il film con cui nel 2012 il regista tedesco vinse l’Orso d’argento per il miglior regista al Festival di Berlino.
«Se perdi il tuo passato non avrai un futuro»
Con queste parole Petzold, nel 2013, parlava del suo film citando la scrittrice Anna Seghers e, forse, ogni insegnante di storia. Il film è un tuffo in quel passato prossimo che probabilmente non molti in Germania, nel 2012, avevano voglia di ricordare. Ma al regista ha permesso di consolidare il suo percorso di autore di narrativa cinematografica che poi esploderà nei suoi film successivi. I capolavori Undine e Il Cielo Brucia ne sono una indiscutibile prova.
Petzold e la lezione di anatomia
Nel quadro di Rembrandt Lezione di anatomia del dottor Tulp, il medico in questione sta effettuando un’autopsia. Mostra a un pubblico variamente attento le caratteristiche del sistema muscolare del cadavere. Sono diversi gli aspetti che colpiscono del quadro. In primo luogo, l’asetticità dell’ambiente in cui il pittore illumina solo il suo soggetto, lasciando il resto degradare nell’oscurità. In seconda istanza, il distacco del medico, che impugna il bisturi come il pittore fa con il pennello, mostrando di essere più fuori che dentro alla scena. Infine, l’asimmetria del corpo esaminato come se si trattasse di un sub-umano: nella storia del quadro il cadavere è quello di un bandito giustiziato. Petzold, con questo dipinto dettagliatamente glossato in una scena del film, si mette sullo stesso piano di Rembrandt.
Intorno alla trama

1980: una località di provincia non precisata della RDT affacciata sul mare. La popolazione è disillusa, non ha passione per la vita, il controllo della polizia di Stato spaventa e inibisce. Barbara (Nina Hoss), una giovane pediatra, è stata spedita lì da Berlino. Nessuno la apprezza o la nota se non il giovane medico Andre (Ronald Zehrfeld), direttore della clinica . La Stasi l’ha incaricato d’impiegarla nel piccolo ospedale e soprattutto di controllare che non abbia contatti sovversivi. La luce del regista segue ossessivamente Barbara che, a differenza del personale medico, ha un approccio solidale verso i pazienti. E i pazienti in questione, come il delinquente asimmetrico del quadro di Rembrandt, sono ragazzi “disturbati” che non riescono a stare in quel mondo. Come la ragazza che tenta di scappare dal riformatorio di Torgau. Barbara è diversa, sicuramente nasconde un segreto ed è anche per questo che Andre finisce per infatuarsi di lei.
Essere o non essere?

Barbara è Nina Hoss, qui al suo quarto lavoro con il regista (Wolsburg 2003, Yella 2007, Jerichow 2009 e successivamente Il Segreto del suo volto 2014), un’attrice di algida bellezza che bene interpreta l’asetticità dei sentimenti mostrati e supera in bravura gli altri componenti del cast.
Ma il film di Petzold, oltre ad essere un affresco storico della Germania dell’Est, è soprattutto un film incentrato su imperativi morali e su scelte personali. Questi aspetti rendono la storia particolarmente aperta al dibattito.
Perché Barbara prende la decisione finale nei confronti della paziente a cui più si era affezionata? Per ottemperare al giuramento di Ippocrate o perché l’alternativa con il medico appena conosciuto poteva diventare interessante? Sono molteplici gli aspetti che Barbara deve soppesare: ciò che davvero è essenziale nella vita, il valore dell’attività lavorativa nella realizzazione personale, la sfida al potere costituito in nome di ciò che si reputa essere giusto e domande fondamentali simili… A meno che la sua scelta finale non sia altro che un gesto d’impulso.
Sono queste domande e questi aspetti ad accrescere lo spessore di La scelta di Barbara e a renderlo rivedibile a distanza di anni.