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Faito Doc Festival

‘Austral’ al Faito Doc Festival, capitani coraggiosi col cuore tra mare e terra

Alla sedicesima edizione del festival internazionale del cinema del reale sul Monte Faito, il bel documentario di Benjamin Colaux naviga nella profondità di tre vite fragili tra pescatori nell'Oceano Meridionale

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Austral, marinaio in barca

A qualche purista del cinema del reale, l’incipit di Austral, presentato alla sedicesima edizione del Faito Doc Festival (18-25 luglio 2023), potrà dare il mar di mare. Il bel documentario girato con sicuro timone tra le acque dell’Oceano Meridionale dal belga Benjamin Colaux inizia infatti con la fascinazione insidiosa di certi viaggi che mettono in pericolo. Bianco e nero a fare dell’oceano una tavolozza di petrolio (fotografia dello stesso regista), musica di violoncello e note salate di mestizia e avventura (soundtrack di Clair Goldfarb): così estetizzante, che al festival internazionale del cinema del reale, sul Monte Faito, qualcuno si sarà pur chiesto cosa ci faccia – per giunta in montagna – un film di capitani coraggiosi col sapore di Kipling o Verne in mezzo al brutale realismo dei documentari.

Pure, cinema del reale oggi, è anche questa oscillazione ondosa tra narrazione quasi-fiction e cinema verità. Tra Capo Horn e le isole a sud del Cile, Colaux segue vita, morte e miracoli di tre pescatori: vita marittima; morte temuta; il miracolo di sopravvivere alle tempeste e tornare dai propri familiari. Possibilmente, evitando di restare perfetti sconosciuti.

Austral, già premiato alla quinta edizione del BRIFF (Brussels International Film Festival), è un viaggio nella liquidità delle anime, capace di navigare tra l’impeto fisico degli elementi naturali e la spuma di pensieri, timori e speranze.

Il trailer di Austral

Austral è prodotto Anton Iffland Stettner ed Eva Kuperman per Stenola Productions, in co-produzione con Little Big Story (Francia) and Associate Directors (Belgio).

La trama di Austral

Alla fine del mondo, giorno dopo giorno, tre uomini affrontano l’Oceano del Sud e le sue leggende. Lasciano le loro famiglie e sfidano il freddo e le tempeste per andare a incontrare i pescatori isolati nelle famigerate isole di Capo Horn. Alcuni si lanciano in questi canali epici per avidità, altri per amore del mare o necessità familiari, ma tutti concordano sull’importanza di portare avanti questo tradizionale sostentamento e condivisione fraterna in pericolo. (Sinossi ufficiale)

Tre uomini in barca

La morte e il tempo sono i due grandi temi di Austral. Entrambe, in realtà, legati alla vita: quella che si riscopre fragile nel rischio di perire in mare; quella rimpianta alla ricerca del tempo perduto con i propri familiari. Non è un caso che nelle primissime battute del documentario ci sia un’autentica liturgia sulle acque: la commemorazione floreale di un pescatore, Alejandro, tempo addietro scomparso in quell’area di navigazione nei dintorni di Punta Arenas.

Austral, due pescatori in un rito di commemorazione con fiori

Austral, una commemorazione floreale in onore di marinaio caduto

Quasi tre uomini in barca, i tre protagonisti non faranno altro che parlare, in un modo o nell’altro, di morte e tempo. Ma anziché annacquare il film nella filosofia, Benjamin Colaux fa emergere le riflessioni immergendosi nelle vite. Milton è un giovane pescatore in ascesa, tormentato dalla lontananza dei figli che crescono a lungo soli con la madre. Andres è un orfano che si è votato al mare, ma sente il richiamo della terraferma dopo aver conosciuto una donna. Guillermo lancia proclami del tipo “il mare mi chiama” o “vorrei morire in mare”, ma si aggrappa alla propria donna come ad uno scoglio quando torna da un viaggio e si va alla balera. Nelle loro conversazioni, ma ancor di più nei time-lapse sui paesaggi e negli sguardi di contemplazione dei propri protagonisti, Austral trova la propria liturgia del vissuto. Anche quello che non c’è, anche quello che si rimpiange.

Ma come fanno i marinai

È tutto un flusso di aneddoti condivisi, ma anche di pensieri più profondi, confidati in un affratellamento del mare. Mentre il film trascorre tra le acque e la terra. Quasi volesse contenere l’oceano del tempo in un bicchiere, il regista si concede anche dei salti temporali, rispettivamente di uno e due anni. Se sublime è il senso del fragile nella caducità delle ere e nell’infinito della natura, Austral vi si avvicina.

Austral, uomo con barba di profilo sinistro a destra del campo con sguardo malinconico su fondale marino

Austral, Guillermo in contemplazione

Per fortuna, il bianco e nero non è mai luttuoso. Nemmeno nelle visite al cimitero; tantomeno nei tanti racconti sugli scomparsi. Neanche, persino, quando Guillermo dice:

Mi piacerebbe morire in mare perché sono un uomo di mare e lì vorrei lasciare le mie ossa.

In questi troppi e troppo grandi pensieri non si affoga, grazie al tempismo con cui si ritorna a dettagli del quotidiano: fa più rumore, quando cade, il dentino del figlio di Milton, che l’albero di una nave. È così che fanno i marinai a sopravvivere al pensiero della morte e alla lontananza: vivendo più intensamente.

Il profumo di mare

Quanto di contemplativo e spirituale c’è in Austral, soprattutto a livello di sceneggiatura, in alcuni momenti farebbe quasi pensare ai tormenti di Melville. Senza balene, ma con le balere di Guillermo. Visivamente, però, il film trova fantasie da Verne per plebei. Alla macchina da presa, di fatto, Coulaux trova efficacemente il proprio vernacolo visivo dell’oceano – un linguaggio, cioè, che trascini convintamente alla deriva: riprese con la camera sistemata a bordo nave, l’acqua sugli obiettivi, le immancabili immersioni in un mare che si fa immagine nebbiosa e metafisica alla Jean Vigo, lo sbuffare dei tubi dell’imbarcazione e l’imprecazione a fior di labbra del marinaio dalle mani nodose come le corde che tira.

Austral, prua di una nave

Austral, esempio di ripresa avventurosa

Se i suoi uomini non sapessero un po’ di sudore e di salsedine, questo cinema del reale non tirerebbe, annegando nella calma piatta del reportage di viaggi. Austral, invece, anche nelle scene domestiche, nella quiete prima della tempesta del pescatore che si ferma, malinconico, a farsi amare in casa, sembra girato lì, alla fine del mondo: nel Sud estremo, sul confine dell’incerto, tra amore e morte, mare e terra, burrasca e bonaccia, partenza e – chissà – ritorno. Da spettatore, mi piacerebbe morire lì; dove c’è il buon cinema.

Taxi Drivers è media partner della XVI edizione del Faito Doc Festival. Fonte immagini: Stenola Productions.

Dedicato, come promesso, a S.O.

Austral

  • Anno: 2022
  • Durata: 90'
  • Genere: Documetario
  • Nazionalita: Belgio
  • Regia: Benjamin Colaux