Il titolo Ricognizioni in Palestina è una parafrasi – cinefila – di Sopralluoghi in Palestina (1965), documentario erroneamente attribuito a Pier Paolo Pasolini. Cogliendo l’occasione del Focus che il Cisterna Film Festival ha dedicato tempo fa alla Palestina, e partendo da quel titolo che rimanda alla funzione del testo filmico (funzione di annotazione), ecco un mini saggio che vuole appuntare alcune opere filmiche, oltre a quelle proposte dal Festival, che hanno trattato la realtà palestinese.
Alcune proposte che possano servire da traccia per approfondire la storia palestinese, le tematiche connesse e anche le carriere dei singoli autori.
Ricognizioni in Palestina: 4 cortometraggi
Per mostrare la situazione palestinese, a livello socio-geografico e a livello cinematografico, quattro cortometraggi, che mettono ben in risalto tutte le problematiche, e al contempo le speranze, di questo tormentato paese.
- Ayny – My second eye (2016) di Ahmad Saleh
- Bethlehem 2001 (2020) di Ibrahim Handal
- Bonboné (2017) di Rakan Mayasi
- Palestine ’87 (2022/2023) di Bilal Al Khatib
Ayny è un cortometraggio realizzato animando a passo uno i personaggi in plastilina. La forma scelta, ovvero l’animazione è quella di mostrare la tragedia (bombardamenti, morti, speranze) attraverso la favola. Un opera che cerca, pertanto, anche un pubblico di bambini, per fargli capire come è la situazione in Palestina. Una morale finale tragica, come è la realtà palestinese, ma con quell’orgoglio di continuare a sperare (suonare) lottando assieme.
Bethlehem 2001 riflette su come l’oggi non è dissimile a vent’anni prima. Una situazione ciclica che si ripete sin dal 1948. Sempre guerriglie, stati d’assedio, paure, morti. Il flashback del protagonista ha la funzione di far comprendere che è importante non dimenticare, non demordere; di prendere coscienza della propria storia, personale e nazionale.
Bonboné affronta una questione privata, e di stringente attualità. Dal 2012 a oggi, diversi bambini sono stati concepiti grazie al contrabbando di sperma all’interno delle carceri israeliane. Una tragica e appassionante d’amore (gli sguardi che si scambiano i due innamorati, divisi da un gelido vetro), che mostra come si lotti in tutti i modi per mantenere vivo il proprio amore, sebbene la guerra israeliana divida, e voglia annullare, il popolo palestinese.
Palestine’87 sposta lo sguardo molto più lontano, al 1987, quando ci fu la Prima intifada, ossia la prima rivolta palestinese contro il predominio israeliano. Da una tematica storica, si passa a una vicenda intima, interna. Anche in questo caso il cortometraggio assume il valore di memoria, e creando una vicenda (che può esser certamente accaduta), si cerca di far riflettere sulla funesta storia palestinese. E come nel popolo, sebbene flagellato dalla violenza, non perda la propria pietas, aiutando i propri fratelli.

Ayny
Qualche titolo sparso per una ricognizione filmica palestinese
Quella che segue è soltanto una breve lista, in cui sono appuntati alcuni titoli molto diversi tra loro, per affrontare aspetti storici e tematici della Palestina. Diverse tonalità di narrazione, ma comunque utili per approcciarsi alla Palestina e alla sua storia. E questa sparuta lista possa essere da spunto per guardare i moltissimi altri film che hanno affrontato la Palestina, i conflitti Israele-Palestina, la Nakba, ecc.
Sopralluoghi in Palestina (1965)
Realizzato come taccuino filmico nel 1963, per annotare probabili luoghi utili all’imminente produzione de Il vangelo secondo Matteo (1964) , il documentario diviene un utile reperto per osservare la Palestina a livello geografico. Pasolini cerca i mitici luoghi dove visse e predicò Gesù. Un reportage d’antan più legato alla concezione etnografica pasoliniana, che rileva la massiccia entrata del capitalismo nel paese, piuttosto che una disamina sulla situazione politica palestinese.
Private (2004) di Saverio Costanzo
Attraverso il quotidiano, ossia le vicende di una famiglia palestinese che si ritrova costretta a condividere lo stabile con dei soldati israeliani, il film dell’italiano Costanzo è un’indagine che parte dal privato per mostrare la situazione palestinese. Da un lato gli israeliani occupanti, che dettano legge, dall’altro una gruppetto di persone che sono lacerate, perché private della loro libertà e indecise se lasciare (emigrare) oppure resistere.
Un insolito naufrago nell’inquieto mare d’oriente (Le cochon de Gaza, 2011) di Sylvain Estibal.
Dietro questo titolo distributivo molto wertmulleriano, si cela una commedia che sa unire il riso, con alcune vette demenziali, al dramma. Una narrazione spigliata che sa anche toccare vertici poetici, come attesta il finale pacifista. Come in Private, anche qui c’è la tragica situazione di una casa palestinese occupata dai soldati israeliani, ma il regista fa vedere che basterebbe poco per eliminare il conflitto, creato dall’alto e in cui la gente comune si è trovata invischiata, dovendo fare una scelta di campo e ideologia.
Alam (2022) di Firas Khoury
Coming of Age in cui alcuni giovani studenti prendono coscienza della situazione palestinese. I danni del passato permangono (lo zio divenuto matto perché gli hanno bruciato la casa), e il tallone di ferro israeliano perdura (nella scuola, in territorio palestinese, deve sventolare quella israeliana). Il tempo della gioventù per alcuni palestinesi termina rapidamente, perché devono maturare e comprendere tanto il presente quanto studiare il passato, per cercare di mantenere la propria dignità di popolo e di nazione.

Le Cochon de Gaza
Elia Suleiman: la Palestina tra ironia e riflessione
Una sezione a parte merita Elia Suleiman, che certamente dalla seconda metà degli anni Novanta, tramite i suoi lungometraggi, ha saputo mostrare, con toni poetici e ilari, il dramma della Palestina. Autore esule, la distanza, in parte forzata e in parte voluta, gli permette di avere una limpida visione della realtà della sua nazione. Il suo è un umorismo leggero e puntuto simile a quello di Charlie Chaplin, e Suleiman, anche attore, ha le movenze sornione simile a Mr. Hulot di Jacques Tati.
Cronaca di una sparizione (Chronicle of a Disappearance, 1996)
Primo lungometraggio di finzione, è un’opera dalla struttura episodica, in cui Suleiman crea un suo alter ego regista che riflette su identità e alienazione, mentre intorno a lui ci sono i territori occupati. In questa drammatica situazione, politica ed esistenziale, il regista registra la difficoltà nel credere in futuro di speranza.
Intervento divino (Yadon ilaheyya, 2002)
Anche in questo secondo lungometraggio il regista adotta una narrazione frammentaria, e persegue con le amare riflessioni sullo stato delle cose in Palestina. Si accentua l’aspetto ironico, che a volte travalica nell’assurdo, ma dietro questa osservazione ilare alla Tati, e a una trattazione dell’argomento alla Samuel Beckett, c’è un’osservazione precisa su cosa sta accadendo in Palestina. Un odio che coinvolge tutti. La pellicola ha vinto il Gran Premio della Giuria a Cannes.
Il tempo che ci rimane (The Time That Remains, 2009)
Con il suo terzo lungometraggio, Suleiman parte da una vicenda personale, quella della sua famiglia e dei fatti del 1948, per poi tracciare un percorso storico e intimo che arriva al presente. Anche in questo caso Suleiman adotta la sua cifra stilistica, utilizzando una comicità stralunata a una verifica narrativa tragica. Una pellicola con cui mostra la ciclicità del conflitto palestinese, e in cui il popolo è condannato a soffrire.
Il Paradiso probabilmente (It Must Be Heaven, 2019)
Film esistenziale On the Road, in cui il Suleiman, nei panni di se stesso, lascia la Palestina, sempre più lacerata, per trovare una terra che possa accoglierlo. Ma in questo viaggio di ricerca (della casa e di una realtà normale), il protagonista – ossia il regista – ha conferma che quello che accade in Palestina (occupazione, razzismo, alienazione, esclusione, mancanza identitaria) c’è anche nelle altre parti del mondo, sebbene in misura minore. Una narrazione ironica che porta con sé l’usuale amara riflessione del regista.
