Il lungometraggio di Dominic Gagnon racconta la Cina e, parallelamente, anche la realtà contemporanea. Il regista si appropria dei video e delle immagini di Georges, bizzarro francese che vive nel paese orientale, per raccontare la situazione attuale. Attraverso questo escamotage, il regista racconta il nuovo ordine mondiale nell’epoca del digitale e del ruolo, proprio della rete, nella quotidianità (e non solo).
Dominic Gagnon attraverso Georges
Big in China è ufficialmente il lungometraggio di Dominic Gagnon, ma è in realtà un insieme di dichiarazioni di Georges, come suggerisce anche il sottotitolo del film Georges and the vision machines. Quelli che vediamo susseguirsi sullo schermo sono stralci di video che, montati, solo apparentemente, in maniera casuale, descrivono una realtà estranea a tutti coloro che non conoscono e non vivono il paese in questione. Una narrazione molto particolare, a tratti esagerata, che mette in luce aspetti solitamente non trattati, né presi in considerazione.
La quotidianità di Georges in Big in China
Il protagonista del lungometraggio è Georges, ma potrebbe essere chiunque. Filmando ogni istante della propria vita ci fa entrare nella sua e in quella che uno straniero in Cina potrebbe ritrovarsi a vivere. Ma non solo. Ci fa anche riflettere su una situazione ben più grande di questa. E lo fa inizialmente in maniera indiretta, elencando situazioni e problematiche, anche banali che lo riguardano e che apparentemente non interesserebbero a nessun altro. Poi i suoi riferimenti iniziano a essere meno velati e racconta esplicitamente la sua vita, non tanto in quanto straniero, ma in quanto estraneo.
La tecnologia e i follower
Tutta la narrazione di Big in China è possibile perché viene fatto uso degli strumenti di Georges. Georges realizza video. È, anche se in maniera un po’ alternativa, quello che potremmo chiamare youtuber. Grazie a questo, Dominic Gagnon può, come anticipato, fare anche e soprattutto una riflessione sull’uso e sulle implicazioni della tecnologia nella quotidianità. Quello che è lo strumento del protagonista per raccontare e raccontarsi, quello che lo tiene ancorato alle sue radici diventa, poi, un’arma che si ritorce contro il legittimo proprietario.
Noi siamo in guerra
La frase che forse, più di ogni altra, ha il potere di riportare con i piedi per terra un po’ tutti. Il protagonista e lo spettatore.