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Fitzcarraldo: Herzog e Kinski ancora insieme per un capolavoro che ha riformato indelebilmente l’immaginario cinematografico

Solo il folle genio di Werner Herzog poteva concepire un film la cui difficilissima realizzazione richiese ben quattro anni di lavorazione. Le avversità che il regista incontrò per effettuare le riprese furono tante e tali che avrebbero scoraggiato anche i più ostinati e caparbi. Ma non lui, che riuscì a portare a termine, con risultati straordinari, il suo ambiziosissimo, insano e poetico progetto

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La possente voce di Enrico Caruso, che interpreta il terzo atto del Rigoletto di Giuseppe Verdi (“Bella figlia dell’amore”), s’infrange sulle sponde scoscese e selvatiche del Rio delle Amazzoni, mentre Molly, la poderosa imbarcazione capitanata dall’intrepido Fitzcarraldo (Klaus Kinski), avanza alla ricerca di una terra magica, uno spazio ‘sacro’, per edificare un nuovo teatro dell’opera, in cui far esibire l’amatissimo tenore italiano. Solo il folle genio di Werner Herzog – che già nel 1972 si era arditamente inoltrato nelle acque dell’immenso fiume che solca l’America del Sud per dirigere lo straordinario Aguirre, furore di Dio (1972) – poteva concepire un film la cui difficilissima realizzazione richiese ben quattro anni di lavorazione. Le avversità che il regista tedesco incontrò per effettuare le riprese furono tante e tali che avrebbero scoraggiato anche i più ostinati e caparbi. Ma non lui, che, nonostante tutto, riuscì a portare a termine, con risultati straordinari, il suo ambiziosissimo, insano e poeticissimo progetto.

«Chi sogna può muovere le montagne» dice Fitzcarraldo, il quale, pur di raggiungere la zona in cui dare corpo al proprio desiderio, non esita a compiere un’impresa impossibile. “Chi può, può solo l’impossibile” ripeteva Carmelo Bene, e Herzog, quasi avesse fatto suo l’inebriante motto, si getta a capofitto in un’idea che lo ossessionava da sempre: mostrare al pubblico, attraverso la metafora visiva del corpo a corpo estenuante tra l’Uomo e la Natura, quanto un sogno possa fornire sovrumane energie per attuare anche le più incredibili aspirazioni. Per il traino della nave sulla montagna – la scena chiave – Herzog chiese aiuto al brasiliano Laplace Martins, che progettò il sistema di argani che si vede nel film. L’ingegnere pensava, comunque, che fosse un metodo troppo pericoloso e che diverse persone potessero perdere la vita, anche perché il regista si ostinava a voler utilizzare un pendio inclinato di 40 gradi. Martins, perciò, abbandonò il progetto; Herzog, invece, decise di continuare con il suo iperbolico intento. Inizialmente la nave si mosse, subito dopo, però, un tirante si ruppe e il natante scivolò giù: che è esattamente ciò che si vede nella pellicola.

Per compiere la sua impresa, Fitzcarraldo stringe rapporti con gli Indios della zona. Terrorizzato dalla possibilità che possano ucciderlo per difendere la propria terra, asseconda una loro antica credenza: li induce a considerarlo la divinità sempre attesa per condurli verso un mondo privo di sofferenza e morte, dove si rimane eternamente giovani. Così facendo, non solo placa ogni ostilità, ma ottiene anche il loro sacrificio, fondamentale per la riuscita della titanica missione. È da notare il rapporto controverso che s’instaura tra Fitzcarraldo e gli abitanti delle sponde del Rio, i quali subiscono anche delle perdite umane. Nel proseguire della diegesi è costante la paura nell’uomo, il quale teme che gli autoctoni possano scoprire le sue intenzioni (aprire una nuova via economico-logistica al caucciù) e ucciderlo.

Ancora una volta, come sempre è accaduto nei film del cineasta tedesco, a fare la differenza è il sodalizio con lo straordinario Klaus Kinski, il quale, sebbene recitando in inglese perda un po’ della sua forza interpretativa, regala una prestazione memorabile. Indimenticabile è la sequenza in cui, cenando all’interno del battello con ciò che era rimasto dell’iniziale equipaggio, Fitzcarraldo, accerchiato dagli innumerevoli Indios che temeva non poco, regala allo spettatore un momento di grandissimo cinema: con il solo sguardo, che gravita da una parte all’altra della fila che lo circonda, modula una quantità enorme di sensazioni, stati emotivi, senza proferire alcuna parola. Non meno efficaci sono i duetti iniziali con la splendida e bravissima Claudia Cardinale: Kinski (che nel film è il compagno di Molly/Cardinale), pur essendo un uomo di un temperamento estremo, pieno di sé fino alla megalomania, al cospetto della diva appare esitante, come se ne fosse segretamente impaurito. Cardinale, al contrario, è sicura, lo abbraccia, lo esorta, lo bacia (non è lui a prendere l’iniziativa). Questa sottile inversione dei ruoli ha colpito non poco – avendo rivisto dopo qualche anno il film – lo scrivente, che non ha potuto, in riferimento all’insolita circostanza, evitare di ricordare la struggente scena finale del documentario Kinski, il mio nemico più caro (1999), in cui Herzog, dopo aver mostrato molto materiale in cui l’attore dava spesso in escandescenze, ci restituisce un’immagine tenera e inconsueta di Kinski, il quale gioca con una farfalla colorata che gli vola intorno.

Fitzcarraldo è un capolavoro della cinematografia che, nella sua ‘eccedenza visiva’, non può essere raccontato fino in fondo (neanche parzialmente). L’epicità che lo informa lo rende un’opera destinata a marcare indelebilmente – lo hai già ampiamente fatto – l’immaginario: lo straordinario sogno di un uomo che prova a compiere un miracolo, che, per poco, non gli riesce. Senza contare la straordinaria sequenza finale, che ripaga completamente il fallimento di un’incredibile idea. Fitcarraldo ha superato se stesso, diventando un esempio per tutti.

Pubblicato e distribuito da Ripley’s Home Video in un nuovo master HD, Fitzcarraldo è disponibile in dvd, in formato 1.85:1 con audio in italiano e inglese e sottotitoli opzionabili. All’interno il booklet curato da Paolo Mereghetti.

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