In uno dei suoi film più belli e toccanti Gianni Amelio ci metteva in guardia sulla presunzione di considerarci diversi dalle migliaia di immigrati che all’inizio degli anni novanta lasciavano l’Albania per sbarcare sulle coste pugliesi. Profetico nel considerare il problema dell’immigrazione centrale per le sorti del nostro paese, Lamerica (1994) aveva il merito tra le tante cose di ricordarci come non meno di novant’anni prima i nostri antenati facessero la stessa cosa, imbarcandosi alla volta degli Stati Uniti.
A distanza di quasi trent’anni Via della felicità, di Martina Di Tommaso, sembra chiudere il cerchio della profezia di Amelio, proponendoci la vicenda di Emma, madre single decisa a trasferirsi in Germania insieme ai propri figli, nella speranza di trovare una vita migliore di quella lasciata in Italia. Trattandosi di una storia vera e di personaggi che partecipano al progetto nella parte di se stessi, quello di Di Tommaso è un documentario che mescola realtà e finzione, ove per quest’ultima si intende non la messa in discussione dell’autenticità di ciò che vediamo sullo schermo, quanto un’idea di regia capace di ordinare il materiale raccolto dall’autrice all’interno di una cornice narrativa logica e coerente. In questa maniera, l’energia vitale di Elisa, disposta a non arrendersi anche di fronte alle difficoltà di ambientamento – la necessità di imparare una nuova lingua e il dovere di inventarsi un mestiere – trova corrispondenza in un viaggio di formazione che, prendendo atto in corso d’opera delle trasformazioni sociali del paese, analizza il problema da un punto di vista nuovo e in qualche modo più vicino allo spettatore.
Con il carico d’umanità conseguente alla contagiosa determinazione che ne scandisce l’azione, la figura di Elisa sfugge agli stereotipi di certa italianità, proponendosi nell’esemplare forza d’animo e per la capacità di rimandare al mittente l’indulgenza e il pietismo che normalmente fanno da corollario al tipo di difficoltà affrontate dalla donna. A Di Tommaso il plauso di averle raccontate senza retorica e con l’equilibrio che deve avere una storia dove privato e politico si contendono l’attenzione della macchina da presa. Proiettato in anteprima mondiale a Firenze, in concorso al 58° Festival dei Popoli.