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Lo schermo immaginario di Riccardo Rosati| Analisi del testo e intervista all’autore

Il libro di Rosati è una preziosa raccolta di saggi e recensioni di film scritti nel corso di quattordici anni in cui ha “ragionato” sul cinema. Quattro sono le sezioni disponibili divise principalmente per generi cinematografici: dopo “fantascienza”, “fantasy” e “horror” l’ultima parte si intitola “Oriente fantastico”

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“Il cinema   ha dato agli uomini un senso nuovo: di agire  come in una finzione e di vedersi agire.

Ma ancora non ha dato fondo alle sue possibilità tecniche . Verrà il colore dopo il parlato. Poi verrà il rilievo. Al termine del suo progresso non gli rimarrà   che diventare un fatto poetico e umano “.

Questa la profezia di Corrado Alvaro su “La Lettura” del marzo  1937.

Quando ho deciso di intraprendere la lettura de Lo schermo immaginario di Riccardo Rosati (Edizioni Tabula fati, 2016) e di accettare di scriverne in merito ho sperato che l’aggettivo “immaginario”, semanticamente  proprio dell’universo cinematografico, preservasse tra i suoi obiettivi, e in un certo senso tra le missioni che ogni (ennesimo) volume sulla Settima Arte dovrebbe perseguire, quel “fatto poetico e umano” sopra citato, in tal caso, però, dalla parte  non di chi  “fa” una pellicola, ma di chi  la vede ovvero la “legge” per sé e per gli spettatori futuri.

Il riscontro estremamente positivo si è palesato in primis non tanto nel contenuto, quanto nella forma, viziandomi a perseverare nel campo dell’indagine metodologica sul concetto di analisi convocata ne Lo schermo immaginario costantemente pur trattandosi, in apparenza, di un’antologia di recensioni.

Con quali occhi, o meglio più kantianamente, con quali lenti vediamo un film? L’atto di re-censire rappresenterebbe una risposta, ma numerosi fattori continuano a condizionarne l’esito per cui, nell’assenza di una posizione univoca in ambito metodologico, la componente personale di scelta delle chiavi analitiche inevitabilmente ne diventa consustanziale, agevolando l’accoglienza di percorsi lontani dalla critica ufficiale, ma preziosi per diversità, originalità e freschezza dei contenuti.

Il libro di Rosati è una preziosa raccolta di saggi e recensioni di film scritti nel corso di quattordici anni in cui ha “ragionato” sul cinema. Quattro sono le sezioni disponibili divise principalmente per generi cinematografici: dopo “fantascienza”, “fantasy” e “horror”  l’ultima parte si intitola “Oriente fantastico”.

Constatando quanto fin ad ora i film a questi ultimi afferenti siano poco esaminati o liquidati ingiustamente in maniera negativa, ho posto la seguente domanda all’autore:

“La cernita e l’organizzazione delle recensioni e dei saggi da inserire nel libro, da cosa sono state dettate? Si tratta, a priori, dell’esposizione di interessi privati verso un genere o un autore tout court? Oppure è insita la volontà di coinvolgere i lettori educandone prima ancora del “gusto”, la “vista”, nel senso di indirizzarne le scelte su cosa vedere?”

Rosati ha così gentilmente risposto: “Non mi permetto di pensare che io possa “educare” qualcuno; suggerire possibili chiavi di lettura su determinati argomenti, questo magari sì. Naturalmente, gli scritti rispecchiano i miei gusti e interessi. Diciamo che il “genere” in senso lato è da sempre un qualcosa che tento di difendere da quella che chiamo la “malattia del realismo” che tanto male ha fatto al cinema e alla letteratura italiani. Pensiamo, ad esempio, a Italo Calvino, di cui sono studioso da anni. La parte più importante della sua produzione è legata al fantastico, eppure una certa critica militante che, purtroppo, va ancora per la maggiore, è rimasta ancorata al “Calvino marxista”, al giovane intellettuale partigiano, ignorando come egli abbia praticamente rinnegato quel suo passato, non certo con delle affermazioni, bensì con le sue opere.”

Nulla di più “poetico e umano” che conduce l’inevitabile  e incontrollabile gusto personale a vincere  contro i dubbi legati alla soggettività di un’operazione in cui, ribadisco, ha più valore la forma  del contenuto.

Raccolte e compendi infatti continuano a non mancare nelle biblioteche, nelle case e nelle librerie, siano essi in forma di epistole, ricette culinarie, poesie, novelle, recensioni e saggi  teatrali e cinematografici, ma ciò che “affabula” consentendo la loro esistenza e permanenza  risiede  sempre nell’infinita varietà di punti di vista possibili onde soddisfare nei fruitori un’esigenza non tanto gnoseologica quanto più umanamente spirituale di “sapere” in modo vivo e nuovo.

Senza voler banalizzare: tutti avranno letto o scritto critiche in merito a Lo Hobbit o Star Trek (per citare alcuni film analizzati da Rosati), così come tutti avranno letto o scritto una poesia d’amore, ma non per questo la frequentazione  di tali ambiti risulta sospesa o abbandonata. Le braci emettono sempre luce! …E non si tratta delle conseguenze della democrazia!

Nel caso de Lo schermo immaginario il principale polo di attrazione per chi legge è costituito dalle scelte metodologiche compiute da intendere come una strategia, un piano d’azione, una guida. Infatti alle mie domande:” Quali sono i punti di forza che hanno spinto a connotare in maniera così specifica l’atto di analisi filmica? Esistono comunque aspetti fallaci nell’operazione? Se sì, in quali pellicole tra quelle recensite nel libro?” Riccardo Rosati ha affermato: Non so se esistano dei limiti nella mia metodologia, questo è compito di chi legge il libro deciderlo, come, del resto, per i “punti di forza”. So che ho una prospettiva, ben precisa e che è facilmente riconoscibile. Chi mi legge sa bene dove voglio arrivare, ho un obiettivo nelle mie ricerche, non mi interessa dire “mi piace” o meno; quello lo lascio fare ai cinematografari di Marzullo. Io applico all’analisi della Settima Arte lo stesso metodo di quando mi occupo di Oriente, linguistica, letteratura e musei. Il cinema per me non è un divertimento. Lo diventa solo quando faccio lo “spettatore” e, in tal caso, mi rifiuto puntualmente di scrivere su ciò che vedo.

Nella storia della critica e saggistica cinematografica e teatrale non mancano esempi meravigliosi di  enfants terribles che in occasione di film, spettacoli teatrali, perfomances, libri o altri prodotti artistici hanno scritto recensioni o articoli ancora oggi insuperati in fatto di stile e metodo di indagine più attendibili e sensati di quelle proposte dagli addetti ai lavori, raccolte poi in volumi.

Alcuni esempi tra quelli che preferisco e venero sono: gli scritti di Roberto De Monticelli e di Franco Quadri, Lettura freudiana della Phèdre di Francesco Orlando, La solitudine del satiro di Ennio Flaiano, antologia di suoi scritti apparsa, in prima edizione, nel 1973 a un anno dalla morte,  o ancora Descrizioni di  descrizioni di Pier Paolo Pasolini, che  raccoglie le sue recensioni di libri  pubblicate sul settimanale Tempo tra il ’72 e il ’75, attraversando diverse epoche e Paesi e mettendo in discussione il concetto stesso di letteratura unitamente al senso della critica letteraria e della recensione. «Che cos’è e com’è fatta la critica? Naturalmente questo è un problema molto vecchio, benché neanche lontanamente risolto. Tuttavia pensavo che facendo personalmente io della critica e per tanto tempo questo “mistero” mi si sarebbe almeno un po’ e almeno pragmaticamente chiarito. Invece no… Ho fatto delle “descrizioni”. Ecco tutto quello che so della mia critica in quanto critica. E “descrizioni” di che cosa? Di altre “descrizioni”, ché altro i libri non sono»*

E Riccardo Rosati ha un autore preferito di recensioni che, come lui, si è occupato e/o si occupa  di altro considerato come un autentico Maestro?

“Maestri ne ho avuti due, ma non nel cinema. Uno per quanto concerne i Beni Culturali, ma che poi non ho più seguito fisicamente, benché le sue idee vivano sempre in me. Un altro per quanto concerne il Pensiero Tradizionale che ho volutamente smesso di seguire per ragioni che sarebbe inelegante e segno di ingratitudine chiarire in pubblico. Ciò detto, anche di quest’ultimo faccio tesoro della parte “buona” di quello che mi ha insegnato, che non è stata poca roba, specialmente per il suo essere inoltre un valente conoscitore del fantastico”. Questa la risposta dell’autore de Lo schermo immaginario.

Non ho potuto esimermi dal porre un quesito relativo all’atto di fondazione del cinema come immagini in movimento e riproducibilità tecnica delle visioni offerte su di uno schermo:” Riscriveresti oggi alcune recensioni (o saggi) tra quelle presenti nel libro sulla base dei cambiamenti imprescindibili di un’epoca, di nuove tecnologie adoperate per girare i film, delle diverse prospettive che il linguaggio cinematografico mira ancora ad offrire?”

“A esser sincero, è stato fatto. Sono ritornato su vari scritti, cambiandoli un po’, rendendoli così per un verso “inediti”. Il presente mi interessa assai poco, essendo un antimoderno, lo trovo sostanzialmente privo di qualsivoglia contenuto. Ragion per cui, anche nella ricerca affronto autori e opere che hanno superato e vinto il tempo.”

Tra gli interessi di Rosati deducibili dal suo volume risultano, con piacere, i film d’animazione la cui fruizione, avvenuta, da parte della critica, more solito en passant ne ha deformato la verità stilistica e  contenutistica spesso superiore agli obiettivi dei film “normali”. “Vi sono state difficoltà nel compiere un lavoro critico in relazione ai film di animazione rispetto alle “normali pellicole”, alla luce della metodologia impiegata?” ho chiesto dunque all’autore che nell’esprimersi ha ribadito le sue posizioni: “Assolutamente no, è pur sempre cinema! Come detto, è il metodo che conta, non tanto l’argomento di ricerca. Persino parlare di calcio può essere una cosa in qualche modo seria, se lo si fa alla maniera di Gianni Brera, il quale, infatti, aveva il suo metodo: un articolo di Brera lo riconoscevi anche se non firmato”.

…E se le radici de Lo schermo immaginario sono intricate in una questione di metodo è plausibile una prosecuzione del loro percorso ed una crescita intesa come possibilità di un’ulteriore raccolta.

“Con l’amico Solfanelli stiamo pensando di fare una “seconda puntata”, stavolta su un cinema che quelli che parlano bene definiscono: “mimetico”. Però, se ne parla dopo l’estate; ora sto finendo un mio testo sui Beni Culturali.”

Mariangela Imbrenda

*Per approfondire consiglio  I teatri di Pasolini di Stefano Casi che a pagina 215 scrive :«Era inevitabile  che  venisse affascinato dal metodo, e di lì a poco avrebbe dissertato sui “linguaggi” del cinema. Umberto Eco, spesso suo compagno di tavole rotonde ,lo giudicava un semiologo di seconda categoria; ma troppo in fretta: nessuno, in Italia, che avesse realmente tenuto in mano una macchina da presa, aveva mai riflettuto così a fondo sulla filosofia simbolica della riproduzione della realtà su film. Si rivolse all’analisi  del linguaggio non come professore, bensì come poeta  sociologo, e  all’antropologia non come  laureato bensì come uno che  prendeva l’umanità come materia  grezza del proprio laboratorio artistico…»

Cfr.  anche  le  dichiarazioni  in merito al  cinema  in Pier Paolo Pasolini – Il sogno del centauroa pagina 124. Alla domanda dell’intervistatore Jean Duflot: «Ci è rimasta a ronzare in testa la sua idea della “semiologia della realtà “. Può darci qualche  precisazione?» Pasolini risponde: «Ah,ah ah (ride). Beh. Sì. Il titolo del libro in cui raccoglierò i miei saggi sul cinema (molto contraddittori perché ognuno rappresenta  un momento del mio pensiero, superato dal successivo) si intitolerà forse  Il cinema  come semiologia  della realtà»

Infine propongo le battute di Majakovskij che rivolgendosi nel 1923agli amici formalisti dell’Opojaz, li aveva ammoniti così: «Il metodo formale è la chiave per lo studio dell’arte: ogni pulce-rima dev’essere presa in considerazione. Ma guardatevi dalla caccia alle pulci nel vuoto. Solo con l’analisi sociologica dell’arte il vostro lavoro sarà non solo interessante ma anche indispensabile».