Molta critica, forse per il tenore apparentemente buonista e sentimentale, si è affrettata a obliterare La foresta dei sogni (The sea of trees, Il mare di alberi) come esperimento non riuscito, giacché Gus Van Sant in passato ci aveva abituato a un approccio filmico in cui lo spettatore era convocato a fare un’inedita esperienza del tempo e dello spazio, laddove tutto il suo cinema è teso a condurre in un non-luogo in cui irrompe uno stato di sospensione che contesta la logica cronologico-causale del succedersi degli eventi. Eppure a ben vedere non assistiamo in questo caso a una vera cesura, semmai c’è una rielaborazione delle forme che, sebbene più aderenti a uno stile narrativo classico, non mancano di ‘fare segno’ proprio a quel fuori campo sempre incombente nella filmografia del regista americano.
Si comincia dall’individuazione del luogo, la foresta, in cui non si è vivi né morti, vi si deambula senza bussola né direzione, alla ricerca della ‘postura impossibile per morire’, e si prosegue con il processo di ‘incarnazione’ della moglie defunta, innescato attraverso un ricordo che diviene flusso emotivo che si giustappone al presente, segnalando quanto la realtà interiore abbia una consistenza ontologica non inferiore rispetto a quella scandita dalla prosaicità di una temporalità che non lascia margine di dubbio.
Non c’è nel film di Gus Van Sant solo un montaggio alternato funzionale a rendere nota allo spettatore la premessa della situazione in cui si ritrova il protagonista, ma un vero controcampo che fa eco, che non cessa di riverberare su ogni singolo fotogramma, facendo assistere al continuo sdoppiamento del tempo in cronologico e non (una durata). È l’amore del marito che riporta in vita la moglie deceduta, la fa rivivere nella forma di un fiore che spunta sull’arida e sterile superficie di una roccia. Esattamente come in Restless, Arthur (Matthew McConaughey) delira, immaginando di condividere la sua sventura con un uomo giapponese incontrato durante il tragitto e di cui si prenda cura, e il risultato è un ritorno in sé finale che spariglia in maniera significativa le certezze del protagonista, costretto, per fortuna, a rivedere le proprie posizioni rispetto a ciò che davvero conta nella vita, come, per esempio, sapere quali sono il colore e la stagione preferiti della persona che si ama. Arthur allucina come il tenente di Abel Ferrara, e l’immagine che lo visita invita lo spettatore, retroattivamente, a ripensare il dialogo interiore dell’uomo, che solo dopo esser uscito fuori di sé, avendo fatto esperienza di una ‘soggettività eccentrica’, può finalmente rimettersi in contatto con il mondo e venire fuori da un labirinto che neanche ‘il filo d’Arianna’ riesce a espugnare.
Assistiamo dunque a una significativa trasvalutazione dei valori, e il fatto che a provocarla sia l’eccedenza di un evento amoroso non riduce l’importanza di quanto è sostenuto, semmai sta a chi guarda l’onere di sfrondare il racconto dalle sembianze della paccottiglia amorosa, che renderebbe il film uno scivolone gratuito. Ma davvero si può credere che Gus Van Sant sia così ingenuo, o, peggio, che si sia fatto completamente sussumere dall’industria? Innegabilmente il finale è didascalico, vengono addirittura rievocate le parole dello spirito della foresta, ma questa ridondanza non riesce ad occultare quanto di buono è contenuto in un film che, comunque la si pensi, non annoia mai, avvince lo spettatore, e, senza che se ne accorga, innesca in lui una riflessione profonda; appiattire tutto su una chiave di lettura sentimentaloide da romanzo da appendice svilirebbe la potenza visiva e drammatica di un’opera che attraverso una trama lineare riesce a dare forma a figure cariche di senso; ed è proprio questo, in definitiva, il merito più grande de La foresta dei Sogni. Volutamente più accessibile, il film mantiene un forte grado di continuità con l’iconografia precedente del regista, e solo a uno sguardo miope potrebbe sfuggire questo non trascurabile dato.
Pubblicato da Lucky Red e distribuito da CG Entertainment, La foresta dei sogni è disponibile in blu ray, in formato 2.35:1 (1080 HD, 24fps) con audio originale e in italiano (5.1 DTS-HD Master Audio) e sottotitoli opzionabili.
Luca Biscontini
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