Clint Eastwood piace anche ai critici, agli intellettuali e agli spettatori di sinistra. I film della sua ultima stagione di regista sono riusciti ad interrogare gli USA su uno dei suoi miti fondanti, come la guerra (Flag of our fathers, 2006), mettendo in rilievo le manipolazioni che si nascondevano dietro di essa, riuscendo a smontare il concetto di nemico etnico (Letters from Iwo Jima, 2006). Eastwood ha affrontato con la durezza di cow boy il tema dell’eutanasia (Million dollar baby, 2004), prendendo una posizione apertamente contraria a quella della destra più retriva. Ha aperto le braccia (anche figurativamente nel finale del film) al concetto di integrazione con il suo potentissimo Gran Torino (2008) e condannato l’apartheid con Invictus (2009) e denunciato l’ossessione securitaria paranoide e bigotta in J. Edagar (2011). Ad ogni suo film aumentava la difficoltà di conciliare la sua produzione cinematografica con le sue posizioni da repubblicano ultraconservatore. Probabilmente qualcuno aveva pensato che i due mondi fossero non comunicanti. Ebbene, non è così, per fortuna. E’ un bene perché vuol dire che esiste una linearità ed onestà intellettuale che va compresa. Vuol dire che il suo cinema non è solo un cumulo di storie ma che dietro c’è un pensiero.
Con American sniper emerge il lato più nazionalista, ottuso e violento di Eastwood. Emergono quei sentimenti viscerali degli USA profondi che tengono insieme il paese. Eastwood rappresenta la variante repubblicana e conservatrice di un sentimento patriottico che è evidentemente condiviso dalla generalità del paese. Gli USA non potrebbero svolgere la funzione di gendarme del mondo se, al fondo, le sue guerre non fossero condivise molto più di quanto qualunque altro paese occidentale potrebbe fare. Insomma, diciamolo chiaramente, il film di Eastwood non può assolutamente essere condiviso nella sua visione politica che si manifesta in bieco imperialismo ma è anche inutile farne delle menate: questo è ed è sempre stato Eastwood, che piaccia o no. Nel film di Eastwood il ruolo degli antagonisti che si oppongono alle guerre (o quantomeno nutrono qualche dubbio) è ridotto ai minimi termini.
Chi dubita della guerra non è neppure un deuteragonista, è una comparsa, fa colore, viene citato per diritto di cronaca ma non ha la dignità per costruire una vera dialettica con il protagonista che è un eroe assoluto e, in quanto tale, solitario (e rappresenta la solitudine del popolo statunitense). Non starò qui neppure a citare i limiti sulla struttura del film e nemmeno i suoi punti di forza perché questo film offre un’opportunità molto più interessante ovvero quella di comprendere meglio gli USA e il loro ruolo nel mondo. Comprenderlo di pancia, dopo averlo compreso di testa (per chi lo ho ha compreso). Si, perché American sniper un merito lo ha: è un film brutalmente sincero. Eastwood rivendica tutto, dalle guerre, al dio-patria-famiglia, passando per la libertà di utilizzo delle armi. E’ una sorta di testamento e al contempo manifesto sul suo modo di vedere gli USA. E tutto sta insieme, tutto si tiene. Non si potrebbero fare le guerre di aggressione, con migliaia di morti e storpi statunitensi (una patria con estensione idealmente planetaria), se non ci fosse quella visione della famiglia (assoluta e idealizzata) e quella visione di dio (che è più un notaio che non un vero dio). E’ qualcosa di lontanissimo ed incomprensibile per noi altri occidentali. Nessuna democrazia occidentale (ad esclusione di Israele) è in grado di sopportare un tale tributo di sangue in guerre di aggressione (anche se, ovviamente, tanto Israele quanto gli USA non le ritengano tali).
American sniper è un viaggio incredibile nel ventre profondo degli USA. E’ un viaggio che tutti noi dovremmo fare per comprendere questo popolo. La storia raccontata nel film è tratta da fatti realmente accaduti e si concentra sulla guerra in Iraq ma è chiaro che per Estwood la guerra in Iraq equivale a quella in Afghanistan e a tutte le guerre che gli USA hanno recentemente combattuto. Per Eastwood, sostanzialmente, gli irakeni sono tutti nemici (chi più, chi meno) ed ognuno di loro è tale sostanzialmente per intrinseca ostilità verso gli USA e mai si chiede perché così tanti arabi odino gli USA. Ancor meno si chiede che ruolo abbiano avuto gli USA nell’alimentare il terrorismo islamico. Questa è l’ottusità di Eastwood, di cui non parlerò oltre. Voglio, invece, parlare di altre impressioni che mi ha suscitato il film. Qualunque sia la genesi di Al Qaeda, dell’IS e di consorterie di questo genere (anche di quelle meno radicali), tali gruppi rappresentano oggi una minaccia per l’Occidente. L’IS non vuole soltanto punire l’imperialismo statunitense, l’IS vuole islamizzare la cristianità. Queste minacce necessitano di una repressione reale che probabilmente nessun paese occidentale saprebbe neppure concepire (ad eccezione parzialmente della Francia per motivi culturali e di Israele per interessi autoriferiti). Solo gli USA sono in grado di farlo. Si pensi alla città di Kobane, esempio di democrazia e laicità, minacciata di distruzione dall’IS. Gli aiuti occidentali, quando presenti, erano bloccati dalla Turchia. Solo il mastino statunitense è stato in grado di organizzare una difesa della città. Quel mastino imperialista, dio-patria-famiglia di cui parla Eastwood. Lo stesso mastino che ha contribuito pesantemente a tirarci fuori dal pantano nazi-fascista durante la seconda guerra mondiale. Allora ci fu anche il contributo determinante dell’URSS che teneva aperta una dialettica ed un’opzione radicalmente diversa. Oggi ci sono solo gli USA. Non è una buona notizia di cui rallegrarsi, ma è una notizia, è bene non ignorarla. E American sniper ci aiuta a ricordarlo.
Pasquale D’Aiello