The Fog si configura come una pellicola horror firmata dal maestro John Carpenter nel 1980, dotata di autentico spirito rivoluzionario anti-istituzionale tipico dell’autore. Estremamente politica e sovversiva, la pellicola si serve di Antonio Bay rendendola sineddoche per decostruire la società statunitense. L’opera ci viene donata come un affresco di umanità, meravigliosamente turpe, coinvolgente e terrorizzante.
Nebbia e vendetta su Antonio Bay
Nella piccola cittadina californiana Antonio Bay le giornate si susseguono regolarmente, con inerzia, tutto sembra andare per il verso giusto. In occasione del centenario dalla sua fondazione, la comunità si prepara a festeggiare, onorando e ricordando i vecchi padri fondatori. Stranamente, un fenomeno insolito si abbatte sulla cittadina: La speaker radiofonica Stevie Wayne (Adrienne Barbeau), nota della nebbia proveniente dalla costa. L’informe massa si muove rapidamente, sembra pensante, viva, alimentata da una volontà terribilmente concreta. La nebbia travolge completamente Antonio Bay, immergendo il centro abitato nelle tenebre. L’intreccio narrativo vede protagonisti Elizabeth Solley (Jamie Lee Curtis) e Nick Castle (Tom Atkins), affiatata coppia che ben presto si ritroverà ad affrontare qualcosa di ben più grande di loro. La nebbia trascina con sé segreti, demoni passati, vendetta e morte. Antonio Bay non sarà più la stessa.

Tutti devono pagare
Il cineasta statunitense adora impelagarsi in sentieri scomodi e tortuosi, ponendo sapientemente la lente d’ingrandimento su dinamiche estremamente complesse e ombrose. Reduce da Distretto 13 – Le brigate della morte e Halloween, Carpenter con The Fog amplia l’orizzonte della sua critica sociale, colpendo ogni istituzione. Se prima la tematica centrale della sua poetica era l’abbandono sociale e l’isolamento dei quartieri periferici, rendendoli delle implacabili macchine autoalimentate da rancore e disagio, ora l’autore scocca frecce avvelenate verso la Chiesa (successivamente protagonista in Il signore del male).
Difatti i demoni celati nella nebbia non sono altro che spiriti appartenenti alla ciurma di un vecchio mercante, William Blake. I vecchi abitanti di Antonio Bay, dopo averlo attirato su una scogliera vicino la costa, affondano la sua nave carica di oro, uccidendo tutto l’equipaggio e impadronendosi del bottino. Cento anni dopo Blake e i suoi marinai tornano accecati di vendetta, esigendo sei vite. Carpenter incrimina la Chiesa di aver fondato la sua egemonia con del denaro insanguinato e crudelmente estorto. Nella pellicola è essenziale Padre Malone (Hal Holbrook), discendente diretto di un assassino di Blake. La figura di Malone è fondamentale poiché si rende manifesto della parte ligia e onesta della Chiesa, completamente eclissata dalla controparte corrotta, concetto quantomai presente nella contemporaneità. I due volti sono contrapposti l’uno all’altro, stesse appendici di un corpo straziato da conflitti interni, risplendente tanto di salvifica bontà, quanto di tremendo orrore. Il passato ritorna crudele e ferino. Voltarsi indietro maledicendo infamie remote non serve a nulla, tutti devono pagare.

Sgraziata eleganza: l’estetica del buio
La pellicola possiede la proverbiale estetica carpenteriana, questa volta più elegante delle opere precedenti. Nelle sequenze più efferate l’autore non ricorre a eccessivi virtuosismi atti a impressionare lo spettatore. Carpenter utilizza magistralmente silenzi, accecanti bui e interminabili pause, non mostrando mai chiaramente l’aspetto dei demoni di Blake. La trovata risulta geniale: lo spettatore è costretto a immedesimarsi fortemente, costruendo con l’immaginazione il proprio personale diavolo. Carpenter alterna momenti di lento accumulo di tensione con picchi improvvisi di terrore. L’utilizzo della colonna sonora, completamente autoprodotta, rappresenta la firma artistica dell’autore. Rispetto all’iconica Halloween Theme, l’accompagnamento musicale è più nostalgico, etereo, quasi funebre. Accompagna la pellicola come un eccellente narratore, mai estremamente oppressivo ma sempre presente. L’utilizzo del montaggio è la vera perla che risplende di autentica luce. Utilizzato per creare un senso di spazio e tempo, permette alla pellicola di respirare a pieni polmoni. Ritmi calmi e perfettamente calibrati restituiscono un brivido di apprensione che percorre rapidamente tutte le corde dell’animo umano. La combinazione tra comparto sonoro inquietante e incessante, montaggio ritmico e messa in scena finemente cupa, proietta lo spettatore in un macrocosmo dove tutto è angoscia e decadenza.
“Alcuni peccati non possono essere perdonati. Alcuni debiti devono essere pagati.”

I mostri siamo noi
L’autore in un’intervista disse:
“I mostri nei film siamo noi, sempre noi, in un modo o nell’altro. Siamo noi con un cappello… la parte di noi che vuole distruggere, la parte di noi dominata dal cervello rettiliano.”
Un’ffermazione che risulta quanto mai azzeccata per la pellicola in questione. Viene da chiedersi chi siano effettivamente i mostri, domandandosi su quanto la bramosità di ricchezze e potere influisca sulla mente dell’uomo, tramutandolo in belva sorda agli echi del bene. L’opera dipinge Carpenter per ciò che è davvero, uomo ossessionato dalla ricerca della verità, cinico e sprezzante nei confronti della realtà che lo circonda poiché capace di capirne la sua vera natura. Piccolo capolavoro, tutt’ora godibilissimo, The Fog traduce in forma cinematografica un pensiero rivoluzionario, portando sul grande schermo una splendida pellicola capace di coinvolgere e far riflettere. Forse l’immutabilità del passato è destinata ciclicamente a ripetersi, rievocando rancori seppelliti dalla polvere.
Dove la contemporaneità oblitera antichi peccati, Carpenter sveglia la coscienza collettiva, puntando il dito lì dove duole di più posare lo sguardo. Cinema d’autore, di protesta, necessario.