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‘La città delle donne’: tra incubo e seduzione

Un viaggio nell’universo femminile di Fellini

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La città delle donne (1980) rappresenta uno dei momenti più complessi, controversi e affascinanti della filmografia di Federico Fellini. Uscito in un periodo di forti trasformazioni culturali, il film mette in scena un viaggio onirico, ironico e destabilizzante. Un percorso dentro l’immaginario maschile di fronte alla rivoluzione femminile degli anni Settanta. Un’opera che non mira a dare risposte, ma che costruisce un labirinto di immagini, simboli e interrogativi sul rapporto uomo–donna, tra attrazione, paura e incomprensione.

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Il sogno inquieto di Snàporaz

Il protagonista, interpretato da Marcello Mastroianni, è Snàporaz, un uomo di mezza età che, durante un viaggio in treno, segue una donna misteriosa e finisce in un albergo dove si sta tenendo un convegno femminista. Da questo punto in poi, il film entra in una dimensione visionaria. Snàporaz attraversa ambienti simbolici come palestre, camere degli specchi, giostre, tribunali e persino un parco d’attrazioni erotico, popolati solo da donne, ognuna rappresentazione di una paura, di un desiderio o di un cliché maschile.

Il film non segue una narrazione tradizionale, ma procede per episodi e immagini. Una seduta psicoanalitica in cui il protagonista è costretto a confrontarsi con le sue memorie erotiche, con la sua educazione sentimentale e con il suo sguardo maschilista.

Fellini: il regista dell’inconscio e della memoria

Per comprendere La città delle donne, è necessario soffermarsi sul ruolo di Federico Fellini, uno dei cineasti più influenti della storia del cinema mondiale. Dopo aver rivoluzionato il linguaggio filmico con opere come La dolce vita (1960), (1963) e Amarcord (1973), Fellini negli anni Settanta si avvicina sempre di più a un cinema interno, psichico, lontano dal realismo e totalmente dedicato alla visualizzazione delle fantasie individuali.

Ne La città delle donne, non vuole rappresentare la donna reale, né il femminismo reale, ma l’inconscio maschile di fronte alla donna. Il film è volutamente parziale, nevrotico, spesso caricaturale. Fellini mette a nudo un mondo di immagini infantili, pulsioni, paure, stereotipi e archetipi.

Il suo cinema diventa un teatro dell’immaginario, dove il protagonista non è solo Snàporaz, ma lo stesso sguardo maschile, incapace di capire e nello stesso tempo di rinunciare al proprio desiderio di possesso.

Il regista realizza qui uno dei suoi film più “psicologici”, in cui l’universo femminile è un enigma irrisolvibile. Un mondo non giudicato, ma osservato con ironia, smarrimento e incanto. Ne nasce un’opera volutamente ambigua, che ancora oggi divide critici e pubblico.

Marcello Mastroianni: l’uomo spaesato del “nuovo” mondo

Marcello Mastroianni, attore iconico del cinema italiano, interpreta Snàporaz come un uomo comune, elegante e insieme timoroso, seduttore stanco e curioso. Non è l’eroe felliniano trionfante, ma un personaggio debole, insicuro, disorientato.

Mastroianni riprende la sua consolidata figura del latin lover, già usata ne La dolce vita, ma qui la rovescia completamente. Non conquista, viene conquistato, giudicato, inseguito, analizzato. Il film funziona proprio perché il suo protagonista non è mai realmente controllato.

Il suo corpo, i suoi gesti e soprattutto il suo sguardo smarrito sono l’elemento più umano di tutta la pellicola. In mezzo a un universo che lo fulmina di domande sulla virilità, sulla fedeltà, sulla responsabilità emotiva, Snàporaz non sa cosa dire e non sa cosa fare. Fellini fa di questa impotenza la chiave comica e tragica del racconto.

Un film che interroga chi guarda

Il regista non prende posizione, ma mostra la confusione maschile di fronte alla trasformazione dei ruoli sociali e all’avvento del femminismo.

Il desiderio e l’erotismo vengono psicanalizzati. Non si tratta più di libertà, ma di una catena mentale, un retaggio infantile e di un immaginario. Non esiste una linea netta tra sogno e realtà. Tutto appare come un lungo incubo simbolico. Snàporaz è un uomo che non ha strumenti per capire il mondo in cui vive. Viene descritto come un personaggio con la propria identità maschile in crisi.

Oggi il film è riletto come una riflessione sulla fragilità del maschile, più che sulla donna. È un percorso all’interno dei pregiudizi che l’uomo porta con sé e che non sa affrontare. Non è un film didascalico. È più una domanda che una risposta.

La città delle donne è un film difficile, ma fondamentale. È l’opera di un autore maturo che, invece di raccontare il mondo com’è, racconta come la mente tenta di interpretarlo. Si dà vita a un viaggio nell’immaginario femminile e maschile senza precedenti, uno spettacolo visivo pieno di provocazione, poesia e inquietudine.

È un film che non vuole essere compreso, ma sentito. E ancora oggi, a distanza di decenni, continua a interrogare chi lo guarda, come un sogno da cui ci si sveglia e che, in qualche modo, resta addosso.

La città delle donne

  • Anno: 1980
  • Durata: 139 minuti
  • Genere: Drammatico, Surreale
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Federico Fellini
  • Data di uscita: 28-March-1980