Il primo Alien è stato una vera e propria rivoluzione: poche opere sono riuscite nell’impresa di unire horror e fantascienza in modo così armonioso e innovativo. In passato non erano mancati tentativi di contaminazione tra i due generi, ma il capolavoro di Ridley Scott rimane un unicum, grazie a un’atmosfera irripetibile che mantiene intatta la propria forza ancora oggi.
Alien. ‘Nessuno ti può sentire urlare’
Alien: l’immensità dell’ignoto
La portata del film si intuisce fin dai titoli di testa: la macchina da presa mostra l’immensità dello spazio, quasi a suggerire quanto piccolo sia l’essere umano di fronte all’ignoto cosmico. Negli anni precedenti all’uscita della pellicola, il mondo stava vivendo alcune delle sue prime scoperte fondamentali nello spazio: dall’allunaggio dell’Apollo 11, alle ricerche dell’astronomo Stephen Synnott, come l’identificazione di Tebe, fino alla fine del programma Apollo e all’avvio dello Space Shuttle.
Questi eventi alimentavano una domanda che il film rende ancora più inquieta: siamo davvero pronti a esplorare l’universo? O rischiamo di incontrare qualcosa che va ben oltre ciò che possiamo comprendere? Alien, come gran parte della saga, è una riflessione sulle paure più profonde dell’uomo: la morte, la solitudine, la fragilità e la sensazione di essere perduti nell’immensità dello spazio.
Alien: un film “operaio”
Uno degli elementi che rendono Alien così iconico è la visione di Scott sui rapporti umani. Per il regista britannico, valori come la lealtà e l’amicizia sono costantemente minacciati da logiche che superano i singoli individui. Un discorso che John Carpenter porterà all’estremo ne La Cosatre anni dopo, con un pessimismo radicale; Scott invece mantiene un approccio più umano, credendo ancora nella fiducia tra i personaggi e criticando chi la tradisce.
Alien è soprattutto un film “operaio”: non ci sono soldati o eroi tradizionali, ma semplici lavoratori spaziali a bordo di un nave mercantile spaziale. Persone comuni che diventano vittime di un evento più grande di loro e, soprattutto, delle decisioni della loro stessa compagnia. Una multinazionale che non esita a sacrificarli in nome di un “bene superiore”, che non è affatto quello dell’umanità, ma del profitto.
‘Alien’: Ash, una AI ambivalente.
Alien: il pericolo delle intelligenze artificiali
Già al suo secondo film, Scott anticipava temi che svilupperà pienamente in Blade Runner: l’evoluzione delle intelligenze artificiali. Ash, interpretato da un magistrale Ian Holm, è un assistente freddo, manipolatore e totalmente leale alla sua “madre” aziendale. Pur possedendo una sorta di coscienza, non è libero: la sua volontà è piegata da chi lo ha creato.
Ai suoi occhi, lo xenomorfo è una creatura perfetta: superiore all’uomo, indistruttibile, priva di fragilità e guidata soltanto da istinti primordiali. Un’idea che lo pone in pieno contrasto con Ripley, profondamente umana, pragmatica e capace di comprendere la gravità della situazione. Ripley incarna l’eredità delle rivoluzioni sociali del post ’68: indipendente, non subordinata a una figura maschile dominante, anzi capace di opporsi ad essa con decisione.
La grandezza di Scott
Una parte fondamentale del successo di Alien risiede nella sua monumentalità visiva e concettuale. La cura minuziosa degli ambienti, l’immensità claustrofobica della Nostromo e l’incredibile credibilità delle scenografie rendono l’opera ancora oggi un riferimento del cinema di fantascienza. Nonostante il budget relativamente contenuto (ben undici milioni di dollari dell’epoca), la ricchezza dei dettagli e l’uso intelligente della macchina da presa trasformano la nave in uno spazio vivo, in cui lo spettatore si sente realmente immerso.
La regia di Scott raggiunge una maturità sorprendente: ogni inquadratura è studiata, ogni dettaglio è funzionale alla tensione, e l’uso dello xenomorfo, presente in poche scene, spesso nascosto nel buio, in modo non dissimile da Lo squalo di Steven Spielberg, amplifica l’inquietudine dello spettatore e l’orrore ancora più efficace.
Dopo oltre 45 anni, Alien rimane nella storia del cinema come uno dei più grandi racconti delle paure umane: l’ignoto, la sopravvivenza, l’incapacità di affrontare ciò che non comprendiamo. Un’opera che sembra uscita dal miglior racconto di H.P.Lovecraft, autore che più di chiunque altro ha saputo dare forma alle paure inconsce dell’uomo.