Con l’arrivo su Prime Video del primo capitolo di Heimat, la leggendaria saga firmata da Edgar Reitz, si riapre un capitolo fondamentale della storia audiovisiva europea. Undici film-episodio, per oltre quindici ore di racconto, che ricostruiscono mezzo secolo di Germania a partire da un piccolo villaggio dell’Hunsrück. Un’opera monumentale che, a quarant’anni dal debutto, non smette di interrogare il nostro rapporto con il tempo, la memoria e il senso di appartenenza.
La madre di tutte le serie
Ben prima che il termine “serie” diventasse sinonimo di binge-watching e di consumo istantaneo, Heimat sperimentava una forma di narrazione lunga e stratificata, in cui il linguaggio cinematografico incontrava la serialità televisiva senza compromessi. Presentata per la prima volta nel 1984 dalla televisione pubblica tedesca, la saga di Reitz — tre cicli, un prequel e uno spin-off per quasi sessanta ore complessive — rappresenta la più ambiziosa fusione tra cinema d’autore e racconto popolare mai realizzata.
In un’epoca dominata dal dominio delle piattaforme, il suo ritorno in streaming suona come un atto di resistenza: un invito a riscoprire la lentezza del racconto, la profondità dei personaggi, la possibilità di guardare la Storia attraverso i gesti quotidiani di una comunità.
Il ritorno a Schabbach
Il primo capitolo si apre nel 1919, alla fine della Grande Guerra. Un soldato rientra nel suo villaggio natale: Schabbach, microcosmo rurale nel cuore della Renania. Da quel momento, Reitz costruisce una cronaca intima del Novecento tedesco, seguendo le vicende della famiglia Simon — in particolare di Maria, figura centrale e ponte tra le generazioni — fino alle soglie degli anni Ottanta.
Attraverso gli occhi dello “scemo del villaggio” Glasisch, voce narrante della saga, Heimat intreccia i destini individuali con la grande storia: l’ascesa del nazismo, il secondo conflitto mondiale, la ricostruzione, il boom economico e le trasformazioni culturali di un Paese che cerca se stesso.
Memoria, identità, appartenenza
“Heimat” significa patria, ma in tedesco racchiude un senso più profondo: luogo dell’anima, legame affettivo, memoria condivisa. Reitz fa di questo concetto il centro della sua poetica, riflettendo sul potere del ricordo e sul radicamento come atto politico e umano. La sua camera indugia sui volti, sugli oggetti, sulla luce che cambia nei campi dell’Hunsrück: ogni dettaglio diventa archivio vivente di un tempo che scorre.
In un presente dominato dall’oblio e dalla bulimia visiva, Heimat si impone come un antidoto alla superficialità dell’intrattenimento contemporaneo. Non solo un capolavoro televisivo, ma una meditazione sul cinema stesso come strumento di memoria.
Un classico che parla al presente
Rivedere oggi Heimat significa riconnettersi alle origini della narrazione seriale e, al tempo stesso, confrontarsi con il nostro modo di guardare. È un’esperienza totalizzante, che richiede attenzione e tempo, ma restituisce qualcosa che le serie odierne raramente offrono: la sensazione di vivere dentro la Storia.
Con la disponibilità su Prime Video, la saga di Reitz torna finalmente accessibile a una nuova generazione di spettatori. Un’occasione imperdibile per scoprire — o riscoprire — la madre di tutte le serie.