Alice nella città

La superstizione della purezza: ‘Fortuna’ di Maurizio Forcella

Ad Alice nella Città il film indaga la superstizione

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Cosa significa essere “diversi” in un mondo che ha paura della differenza? E che cosa accade quando la superstizione diventa più forte dell’amore, e una bambina deve imparare da sola che la diversità non è una colpa bensì un dono? È proprio da qui che parte Fortuna, il nuovo cortometraggio di Maurizio Forcella, presentato ad Alice nella Città.

Prodotto da Associazione Stazione Cinema e IFA Scuola di Cinema (in collaborazione con Cotopaxi e Analog People Cinematek), Fortuna è ambientato tra le montagne abruzzesi, dove la piccola protagonista interpretata da Flora Infante, diventa il centro di una storia sospesa tra realtà e mito. Dolore e rinascita. Forcella, già autore di Timballo e Mariposa, torna a raccontare il suo Abruzzo magico e ancestrale, e lo fa con uno sguardo insieme documentario e simbolico: qui la terra è corpo, memoria, ferita.

L’infanzia come terreno del mito

“Tu sei un seme”

dice la bambina, interpretata da Flora Infante, mentre stringe tra le mani un uccellino morto che decide di seppellire nella terra. È un gesto semplice, ma che racchiude la filosofia del film. Ogni morte contiene in sé un’idea di rinascita, anche se non per tutti questa rinascita è possibile. La bambina non è consapevole di un mondo invisibile, lo è la superstizione a generarlo intorno a lei. Una realtà che ha come obbiettivo quello di trasformare la sua diversità in un segno maledetto.

La sua “voglia” diventa il pretesto per l’ossessione, per un rituale purificatore che somiglia più a un esorcismo che ad un atto d’amore. I genitori la chiamano “storpia”, condannandola a un destino che non le appartiene. Fortuna racconta così la violenza sottile che nasce dal pregiudizio, l’istinto collettivo di eliminare ciò che è diverso per ripristinare un equilibrio finto, rassicurante. Una tematica molto attuale.

Il potere della superstizione

Nel villaggio abruzzese in cui si muove la storia, la superstizione sostituisce la logica. Si crede che uno “zingaro” possa toccare la bambina sotto la luna piena per cancellare le macchie dal suo viso. D’altronde come dice il padre:

“È una storpia, chi se la sposa? Non se la sposa nessuno.”

È qui che entra in scena Ivan Franek, nei panni di Ivan, un uomo semplice, trascinato suo malgrado in un rito arcaico.

Il film si muove su un confine fragile: quello tra credenza e crudeltà. Come in I Am Not a Witch di Rungano Nyoni, il male nasce dall’interpretazione, dal costante bisogno di trovare una spiegazione simbolica a ciò che non si capisce. Forcella ci mostra come la manipolazione collettiva possa spingersi oltre la ragione, come una voce, una diceria o un “segno del destino” possano trasformarsi in condanna.

Fortuna: essere diversi come forma di resistenza

Il nome della bambina è un ossimoro. Fortuna non ne ha, o forse la sua fortuna è quella di essere vista come “segno”. Mentre gli adulti cercano di guarirla, lei inventa storie, è già un passo avanti. Condivide con “lo zingaro” la storia del pettirosso, che aveva la macchia rossa sul petto e per questo era trattato diversamente. In quel racconto c’è tutta la verità del film: la differenza non è una malattia, ma la prima forma di libertà. Purtroppo non sempre riconosciuta.

Le grida che risuonano tra le montagne:

“Fortuna! Fortuna!”

Diventano un’eco di ricerca e di smarrimento. La cercano tutti, ma nessuno la trova. Perché non la guardano per ciò che è, ma per ciò che rappresenta.
E così il titolo si trasforma in una metafora amara: essere diversi è una fortuna che pochi riescono a vedere, perché implica il coraggio di accettare ciò che spaventa.

Cinema e denuncia: l’occhio di Forcella

Fortuna nasce da un fatto reale e diventa un atto politico. Forcella costruisce un racconto asciutto, essenziale, ma potentemente visivo.
La fotografia di Diego Mercadante cattura le montagne d’Abruzzo in modo intimo: la natura non consola, ma osserva. È un luogo sospeso, lontano dal tempo, dove l’isolamento geografico diventa isolamento mentale. Le montagne che scorrono nelle inquadrature rappresentano la lontananza.

Nel cinema di Forcella, la poesia nasce sempre dal reale. Non c’è misticismo, ma memoria. Non c’è redenzione, ma consapevolezza. Fortuna è il racconto di un Paese che crede ancora nel malocchio e dimentica la scienza; che giudica prima di capire; che chiama “miracolo” ciò che non riesce a spiegare.

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