Soundscreen Film Festival
Intervista ad Alberto Bucci sul Soundscreen Film Festival
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2 giorni agoon
Dieci anni sono un traguardo che non si improvvisa. Soundscreen Film Festival nasce con l’idea di intrecciare cinema e musica, e in questo decennio è diventato un punto di riferimento per chi cerca nuove forme di ascolto e visione. Alla direzione troviamo Alberto Bucci, che ha seguito passo dopo passo la crescita del festival, accompagnandolo fra intuizioni, rischi e scelte coraggiose. Un percorso che non ha mai smesso di sperimentare, con una filosofia chiara: il cinema non è solo immagine, ma immagine e suono, inscindibili. Con lui abbiamo parlato di questo anniversario, vedendo assieme il programma, le curiosità e i legami tra colonna sonora e testo filmico, fra tradizione e innovazione.
La decima edizione
Questa decima edizione è un traguardo importante. Se dovesse riassumere lo spirito di questo anniversario in tre aggettivi, quali sceglierebbe e perché?
Come li riassumo? Continuità, innovazione, continuità nell’innovazione e nella perseveranza. Continuità e perseveranza nell’innovazione, sì, qualcosa del genere. Perché dieci anni vuol dire che si è cresciuti, si è anche resistiti a momenti meno positivi, oltre che a quelli positivi. Però andare avanti per dieci anni significa aver fatto strada, aver lasciato anche un po’ di pelle per strada, ma speriamo di aver lasciato della pelle buona, nei ricordi e nelle emozioni, e speriamo ancora di portarla avanti. Stiamo mantenendo una struttura che si è definita nel tempo, perché la prima edizione aveva delle grosse diversità rispetto a quello che facciamo adesso. Adesso, per esempio, facciamo molte più sonorizzazioni, perché abbiamo capito che è il punto focale.
L’omaggio a Madsen
L’immagine ufficiale del Festival quest’anno è un omaggio a Michael Madsen, recentemente scomparso, un personaggio non direttamente legato al mondo della musica, ma a quello della recitazione. C’è stata una discussione interna su come bilanciare questo tributo e perché la scelta è ricaduta proprio su di lui e soprattutto su Le Iene per la prima serata di apertura?
Io ho proposto chiedendo:
“facciamo l’omaggio a Michael Madsen?”
E tutti quanti, tutti lo stavano dicendo
“assolutamente sì!”
Perché Le Iene? Perché tutti di Michael Madsen si ricordano la scena di Le Iene in cui balla e canta la canzone. Tant’è vero che quando è stato proposto di fare il nostro trailer, il montatore mi ha chiesto
-“ma facciamo quella canzone?”
– “Certo, quale volevi mai che fosse?”
Cioè, se pensi a Michael Madsen, lo associ a quel film e specificamente a quell’immagine in cui lui, appunto, nella scena terribile in cui tortura un poliziotto, balla e canticchia una canzone. Insomma, è stato abbastanza, istintivo e naturale come scelta. Spesso il suono non è necessariamente musica, oppure in quel caso, come nel caso di Le Iene, senza quella canzone specifica, quella scena non funziona. Non so come dire, non è accessoria. Sono comunque film rappresentativi. C’è tutta questa filosofia consolidata del cinema come immagine, ma in realtà il cinema è immagine più suono. E ne parleremo per le sonorizzazioni: l’immagine che vedi nei film muti va, in qualche modo, vista attraverso una veicolazione di tipo sonoro.
C’è una filosofia dietro, c’è una ricerca estetica che parte da queste considerazioni. Tornando a Michael Madsen, è abbastanza immediato, perché quella è una scena culto. Una scena culto che funziona perché c’è quella canzone, perché c’è lui che recita in quel modo, perché la recitazione è di quel tipo, il dialogo, la sceneggiatura e tutto un insieme che funziona.
Avete messo insieme un “supergruppo” di musicisti con background diversi per un’unica performance. Come è avvenuto il processo di selezione di questi artisti specifici e come avete gestito la loro collaborazione per sonorizzare un’opera complessa come quella di Ėjzenštejn?
Allora, tu intendi Sciopero? Non l’abbiamo fatto noi, nel senso che Sciopero è un ensemble di persone che è stato messo insieme nella Cineteca di Bologna. Noi facciamo tre sonorizzazioni, di cui due abbiamo scelte noi. Questa che dici “il super gruppo”, è una proposta che ci hanno fatto i musicisti perché sono stati a giugno radunati dalla Cineteca di Bologna. Quindi è un progetto che è stato fatto per il Cinema Ritrovato di Bologna e che noi riportiamo qui all’Arena in collaborazione con la Cineteca. Conosco quattro di questi sette artisti, perché li ho beccati io singolarmente o in coppia o con altra gente. Mentre gli altri tre non so chi siano, non li ho mai visti. Però so che è gente che si conosce, che frequenta l’ambiente e che soprattutto è da anni che ha preso a fare sonorizzazioni.
Mentre per quanto riguarda gli altri gruppi?
Le altre due sono La Sindrome dell’Aceto, due ragazzi che lavorano a Bologna. Sono musicisti, ci siamo sentiti. Dunque è stata molto semplice, nel senso che mi hanno proposto
“guarda, noi stavamo pensando di lavorare su questi due film, uno La Coquille et le Clergyman della Germaine Dulac, l’altro À propos de Nice, di Jean Vigo.”
I film li conosco, mi piacciono, mi fido, e lì ci siamo messi molto tranquillamente d’accordo. Mi hanno fatto loro la proposta. A volte fanno loro la proposta, a volte la faccio io e a volte la discutiamo. Come per esempio è stato un po’ più elaborato il progetto da un punto di vista concettuale, l’altra produzione che abbiamo: L’Odissea del 1911 con Bruno Dorella. Lì ci siamo un po’ girati intorno, nel senso che conosco Bruno Dorella da tanti anni, ha fatto tante cose per noi. Ogni tanto ci sentiamo e diciamo:
“guarda, vogliamo fare qualcosa al Festival quest’anno?”
In questo caso ci abbiamo un po’ girato, ti dico anche molto onestamente. L’Odissea del 1911 fu un colossal dell’epoca, il filmone che tutti andavano a vedere. Fra l’altro, però, questo stesso trio di registi: Giuseppe de Liguoro, Adolfo Padovan e Francesco Bertolini, fece sempre nello stesso 1911 un altro colossal: L’Inferno di Dante, sempre un muto dell’epoca. Questo Inferno di Dante, per esempio, l’abbiamo fatto due volte al Soundscreen. Mi ricordo che la prima volta me lo propose proprio Bruno Dorella.
“Ho visto che in un altro Festival è stato proiettato muto con una colonna sonora che avevano raffazzonato sopra. Giustamente un film muto di un’ora ha bisogno che ci sia qualcosa sotto, altrimenti vederselo così è improponibile”.
E facemmo la sonorizzazione all’epoca de L’Inferno.
I colossal che riprendono vita al Soundscreen Film Festival
Abbiamo discusso di cinquanta titoli, finché a un certo punto mi sono reso conto che questo discorso della storia del cinema italiano, puoi viverlo in maniera brutta se la pensi come biconazionalismo, ma contemporaneamente potrebbe anche essere un motivo per riscoprire i grandi capolavori dell’identità nazionale. Pensare di prendere un film come L’Odissea, che nessuno vede più, ma che 114 anni fa fu un colossal, che comunque appartiene alla nostra storia, è un’operazione concettualmente interessante.
Questo è il senso delle sonorizzazioni per come le abbiamo impostate noi: prendere un grande capolavoro del passato ma contaminarlo con una performance di tipo concertistico-teatrale. Tu prendi un film, che è replicabile, lo potresti vedere ovunque, ma se ci metti una sonorizzazione dal vivo, lo rendi un concerto, lo rendi un evento unico. Le sonorizzazioni sono l’unica cosa che quando c’è stato il Covid noi non abbiamo potuto fare online. Non è la stessa cosa dire
“Bruno fammi la colonna sonora per questo film”
Perché non è la stessa cosa che farlo dal vivo. In questo modo, cercare il passato diventa molto più interessante, è archeologia del cinema, ma è un’archeologia che tu rivivi contemporaneamente. È un po’ il senso di un’operazione.
Soundscreen e la musica
Mi parli del rapporto fra la colonna sonora e il testo filmico e di come volete improntarla al Soundscreen film festival?
Diciamo che c’è un’operazione di ricerca. Io non sono un musicista, ma mi piacciono i musicisti e mi fido, diciamo. Nel senso non è che li controllo, non mi vedo le prove con loro in diretta di quello che fanno. Abbiamo voluto gli OvO di Bruno Dorella e Stefaniano Pedretti, ma lo sapevo cosa facevano, era chiaro che c’era del punk estremo e della rumoristica, ma era quello che volevamo. Era quello che ci aspettavamo. È anche vero che una volta abbiamo fatto una sonorizzazione: Dracula. È stato sonorizzare da Massimo D’Ambrosio tre anni fa, non è che lo stai a controllare, sai che cosa può fare. Infatti fu bellissimo.
Il panorama italiano
Mentre negli ultimi dieci anni la scena musicale indie italiana è cambiata notevolmente, in che modo questa evoluzione si è in qualche modo riflessa nelle scelte artistiche del festival e cosa cercate in un musicista indipendente oggi, che magari ai tempi ancora non stavate cercando?
Forse all’inizio eravamo anche noi un po’ timidi, partivamo con una sonorizzazione a edizione. Però abbiamo notato che la cosa che ha sempre funzionato dentro il festival sono state le sonorizzazioni. Adesso sono gli eventi principali, e vogliamo che siano più diffusi. Per cui ne cerchiamo di più in quantità, da uno passiamo a quattro o cinque, fino all’anno.
Rispetto all’indie, adesso mi ammazzeranno… ma non lo farò mai fare a un “trapper”, questo è poco ma è sicuro. Però l’indie mi sembra un po’ più genuino. Cerco di spiegarmi meglio: mi sembra che i musicisti, per fortuna, quelli che vedo e a cui commissiono le cose, inseguono meno le mode. Vedo gente che si fa le sue cose, le modifica, le evolve, ma non fa nulla di fotocopiabile. In questi anni, rispetto alla scena indie, vedo più tranquillità emotiva, più serenità e anche più autostima. Questo significa che vedo gente che lavora su tanti strumenti, su tante tipologie musicali, dal jazz all’elettronica, al punk, al noise estremo, e mescolano tutto, e sono molto tranquilli. Mi fido. Non ti dico che mi fido ormai a scatola chiusa, però vedo anche gente che propone. Basta ascoltare un po’ per capire se la direzione è giusta.
Quelli bravi non si limitano ad appiccicargli sopra la colonna sonora. Sanno che hanno un film, sanno che loro fanno la musica, e fanno in modo che il tutto dia un amalgama ottimale. Molte volte ho visto brutte sonorizzazioni in cui il film era bello, i musicisti erano bravi, ma l’insieme sembrava proprio appiccicato. Questa nuova sensibilità fa sì che invece i musicisti mantengano un grande rispetto verso l’opera filmica e contemporaneamente, nel rispettare l’opera filmica, sanno esprimere se stessi al meglio.