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In Sala

‘Honey Don’t’ : letture alternative del genere noir

Il nuovo film di Ethan Coen è una ballata tra pulp e noir che volontariamente decide di non prendersi sul serio. Un b movie attento a costruire l’eroina queer in un genere maschile con alterni risultati

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Honey Don't

E’ in sala Honey Dont’ , il nuovo film di Ethan Coen in solitaria scritto assieme alla moglie Tricia Cooke. L’opera è il secondo capitolo, dopo Drive-Away Dolls,  di un ambizioso progetto ribattezzato dallo stesso regista “trilogia lesbica di serie b”. Prodotto da Focus Features e Working Title Pictures, e distribuito da Universal, il dramedy vede tra i protagonisti una delle conferme del cinema hollywoodiano d’autore, Margaret Qualley, l’ex Avengers Chris Evans e Aubrey Plaza.

 Il TRAILER – Honey Don’t

Sinossi – Honey Don’t

Honey O’Donahue (Margaret Qualley) è una detective privata nella cittadina californiana di Bakersfield che si trova coinvolta in un caso che va ben oltre i consueti lavori da investigatrice. Tutto ha inizio con una morte sospetta che all’apparenza sembra un incidente stradale, ma Honey comincia a sospettare che ci sia qualcosa di più oscuro dietro.

Al progredire delle indagini, scopre che la morte è collegata a una misteriosa chiesa, fondata e guidata da un predicatore carismatico, il reverendo Devlin (Chris Evans). Tra una love story con l’agente Falcone (Aubrey Plaza) e la sparizione della nipote, la detective si imbatterà non in una ma in più verità.

 Il neo-noir al femminile – Honey Don’t

È passato un po’ in sordina il progetto solitario di Ethan Coen, il quale staccatosi (forse temporaneamente) dal fratello, ha deciso di reinventarsi una carriera o una nuova fase delle sua vita filmica. Se Drive-Away Dolls poteva sembrare un caso isolato, Honey Don’t e la presenza rinnovata della Qualley, aprono le porte ad un secondo capitolo di una trilogia un po’ strana, nell’evidente tentativo di decostruire estetiche, generi e identità.

Cercando di imitare  David Lynch nella rivisitazione del noir ( Strade perdute, Velluto blu), Ethan Coen, nel suo Honey Don’t, sovverte alcune dinamiche del genere; in primis col personaggio della Qualley, il detective Honey che ribalta il genere normativo del noir introducendo un personaggio queer al centro del poliziesco. Poi con il cambiamento dell’ambiente, sostituendo le ambientazioni urbane e notturne con la soleggiata California piena di segreti e sette ambigue, approdando in un contesto suburbano che fa vivere il film di grottesco e horror soft.

Ma al contrario di Lynch, invece di operare pienamente un ribaltamento quasi anarchico del genere, il film gioca con disincanto con i suoi meccanismi, una lente distorta dove il male non ha più un unico volto e la struttura riecheggia della caratterizzazione d’identità della sua protagonista. Pur riprendendo alcune dinamiche del genere ( la femme fatale, la corruzione e l’inganno, l’ambiguità morale), Honey Don’t inserisce elementi seppur non nuovi come la critica alla religione, per sviluppare un quadro ideologico che parte dalla decadenza della provincia americana esaltandone la propria componente queer.

La violenza sarcastica di Ethan Coen

Diversamente da quanto fatto in Drive-Away Dolls, il lesbian noir non è improntato a radicalizzare l’impegno politico del regista attraverso il genere, bensì il film si occupa di creare un prototipo queer,  normalizzando ed esaltando il neo-noir. Perché mentre Honey deve rintracciare il colpevole dell’assassino della sua assistita, le sue indagini vengono presentate in un ambiente in cui la critica patriarcale è estinta, tranne per il personaggio stereotipato di Evans ( un religioso pieno di vizi e poche virtù).

Tra un atto e l’altro Honey non appare un elemento speciale in un sistema generale con un suo codice, ma è invece il mondo stesso. In questo Coen e Cooke si vedono bene da inserire contrasti tra etero e lesbiche, cercando invece di far agire la Qualley come un detective che rivisita il genere senza modificarlo.

Perché Honey fa tutto ciò che la tradizione vorrebbe che facesse; rincorre un evento per trovarne un altro di un livello superiore, usa il sesso come un virile passatempo tra un letto e l’altro, persegue verità scomode che nessuno vuole rincorrere. Quindi se da una parte il film segue la linea classica del noir, dall’altra la Cooke e Coen, rimanendo in codici tradizionali, lo modificano già nella rappresentazione femminile: abbondano di femme fatale evidenti come la sicaria francese, o inaspettate come l’interesse amoroso della protagonista.

Inoltre, elemento non trascurabile del film, prendono la religione, l’ambiguità del culto interpretata da un surreale Evans, a favore del mantenimento del queerness della trilogia. Offrendo una decostruzione della misoginia del noir a favore di una lettura contemporanea.

Margaret Qualley, l’eroina-eroe

Creando il personaggio di Honey O’Donahue, Coen sembra distanziarsi dal suo passato. Figure come il disturbante sicario di Non è un paese per vecchi o l’imbranato venditore di Fargo, vengono sostituite da una rappresentazione femminile che nel contempo riflette il problema di un’ eroina una volta che viene inserita in un contesto per molto tempo riflesso di personaggi maschili. La Honey della Qualley è un detective donna che si comporta come un uomo, rispecchiando modelli estetici e caratterizzanti del personaggio del vecchio noir.

Ha i suoi vizi, i suoi abiti, e anche una simile movenza lessicale tra l’essere perentoria e algida. Una tendenza già vista nel cinema e nella serialità degli ultimi anni; basti pensare alla Kate Winslet di Mare of Easttown o alla Rosamund Pike di Gone Girl che a suo modo declinava un Hannibal Lecter in chiave femminile.  Honey Don’t  potrebbe anche interpretarsi nello sforzo di Coen e Cooke di decostruzione del genere applicando stessi topoi per combattere la classicità dello stereotipo rappresentativo del personaggio maschile tradizionale. Rimane il quesito intorno al detective e a ciò che vediamo. Un’eroina queer o un semplice trasferimento di identità con stesse tipologie strutturali.

Il tono ibrido del b movie

Honey Don’t non vuole mai prendersi sul serio, caratteristica insita già nelle prime fasi del film, cifra che avvolge dall’inizio il lavoro di Coen. Assistiamo difatti, costantemente, a cambiamenti di toni in cui la violenza si fonde a scene grottesche e  a gag surreali, che vivono di comicità demenziale e pulp movie. È errato sostenere, però, che Ethan Coen voglia riprendere un simile filone tarantiniano, seppur ne replica stili ed estetiche. Ciò che fa il regista è usare ciò che i Coen hanno sempre fatto, prendere un genere come il noir, renderlo comico, surreale fino all’inverosimile ma mantenendo tutta un’impalcatura morale, o meglio amorale sull’individuo.

Tra pulp queer e neo-noir

E Honey Dont’t si presta ad un’altra constatazione nel come usa l’intrattenimento spicciolo del b movie al fine di mettere al centro la sensibilità queer. Questo è poi alla fine la base e il fondamento della trilogia di Coen: prendere i vecchi film d’exploitation anni ’70 recuperandone una rappresentazione femminile orientata al linguaggio contemporaneo del queer. E la ripetizione delle gag e dei plot twist che si vedono nel corso del film, tra personaggi iper grotteschi , come il reverendo, e trame che appositamente appaiono sotto-sviluppate, sono tutte componenti che Coen e la Cooke usano non per costruire una narrazione coerente o realistica, ma per smontare e reinventare le regole del genere, giocando con gli stereotipi fino a renderli strumenti di esaltazione del queerness.

Honey Don’t! si configura come un’opera volutamente esagerata e stilizzata, dove la superficialità apparente diventa una scelta estetica consapevole: un cinema che si diverte con la propria finzione, che non pretende profondità convenzionali, ma che sotto il velo del pulp e della comicità demenziale, porta avanti una riflessione radicale sull’identità, sul desiderio e sulla rappresentazione queer.

  • Anno: 2025
  • Durata: 90'
  • Distribuzione: Universal
  • Genere: noir pulp
  • Nazionalita: Usa
  • Regia: Ethan Coen
  • Data di uscita: 18-September-2025