Una tomba per le lucciole (Hotaru no haka) è uno dei più importanti e influenti film d’animazione giapponesi. Una storia toccante che intreccia momenti di poetica delicatezza al tragico destino di due fratelli e che fin dalla prima visione si imprime nella mente e nel cuore dello spettatore. Diretto da Isao Takahata, cofondatore con Hayao Miyazaki dello Studio Ghibli, il film è uscito nel 1988. Eppure continua ancora oggi ad incantare un vasto pubblico, recentemente ampliato grazie alla programmazione di Netflix.
In occasione degli 80 anni dai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, Lucky Red ha annunciato che proporrà al cinema dal 18 al 24 settembre 2025 una versione con nuovo doppiaggio curato da Alessandro Rossi, con Francesco Nicodemo come traduttore e Roberta Bonuglia come adattatrice.
Un dramma senza eroi: l’incipit de Una tomba per le lucciole
Il film si apre in una stazione ferroviaria di Kobe, mentre il giovane Seita muore di stenti sotto lo sguardo sdegnato dei passanti. Esalando l’ultimo respiro, può finalmente riunirsi con la sorellina Setsuko. Non appena i due spiriti si ricongiungono, un lungo flashback ci mostra l’estate che i due fratelli hanno affrontato mentre la guerra si avviava al suo epilogo.

Una breve precisazione
Nell’articolo verrà utilizzato il titolo originale Una tomba per le lucciole piuttosto che il più recente La tomba delle lucciole, poiché il film in Italia è generalmente conosciuto con la prima traduzione. Le versioni differiscono solo per il doppiaggio italiano: ne La tomba delle lucciole, uscito in sala nel novembre 2015 e poi commercializzato, il doppiaggio fu curato da Gualtiero Cannarsi.
Tra lucciole e fiamme
1945, Kobe. Sulla città non cadono bombe esplosive, ma ordigni che incendiano le tipiche case giapponesi in legno e carta. È anche a questi strumenti di morte che potrebbe alludere il titolo originale, che compare tra le risate dei due fratelli e la flebile luce delle lucciole danzanti. L’uso giocato degli ideogrammi nasconde un’ambivalenza che anticipa il tema del film, crudo e privo di speranza, trattato con l’approccio autoriale che ne svela i più toccanti risvolti.
Il titolo viene scacciato dal rumore dei bombardieri B-29 mentre sorvolano minacciosi i cieli. Non si tratta, purtroppo, di una novità per Seita. Non appena sente gli allarmi risuonare per la città, sotterra le provviste e prende con sé la piccola Setsuko. L’età non dovrebbe permetterglielo, ma Seita possiede già la maturità per prendersi a carico la vita della sorella e della madre. Il destino che però lo attende diventerà un fardello troppo pesante anche per le sue spalle. Ed è comune a quello di molte altre giovanissime vite che la guerra cambiò radicalmente. Si parla del koji (孤児), l’orfano, che non è solo un bambino privato dei genitori, ma è anche l’escluso, l’isolato (questo il significato di 孤 -ko-).

Seita e Setsuko diventano vittime di un conflitto globale e contemporaneamente sociale. Troppo piccoli e deboli per lavorare alla grandezza dell’Impero, il loro mantenimento diventa un peso per la comunità. Un costo che in guerra nessuno, nemmeno i parenti più stretti, sono disposti a pagare.
La profonda importanza che il popolo giapponese dava, nel dopoguerra, all’immagine di ingannevole prosperità economica del Paese, si lega con un filo invisibile anche alla critica che il film suscitò alla sua uscita. La storia di due bambini abbandonati alla fine di una guerra, persa con resa incondizionata, non conquistò affatto il pubblico in sala. Tuttavia guadagnò il plauso della critica, soprattutto estera. Un film che negli anni si è meritato il titolo di uno dei migliori prodotti d’animazione, oltre a diventare manifesto pacifista per eccellenza. Eppure, Takahata dichiarò che l’anime non contenesse quel tipo di messaggio.
Confessioni ed espiazione di un autore
L’urgenza di raccontare questa storia nasce infatti da un altro bisogno. Ciò che accomuna Isao Takahata e Akiyuki Nosaka, autore del racconto semi-autobiografico da cui nasce il film, è la memoria diretta della guerra. Per Nosaka, Una tomba per le lucciole scaturisce dal trauma personale che segnò la sua infanzia; Takahata, invece, aveva impresso nella mente l’immagine dei B-29 in volo. Una testimonianza che arricchisce il film di realismo, al contrario di altri prodotti dell’epoca in cui gli aerei non erano rappresentati in modo altrettanto fedele.

Il carattere fortemente documentaristico viene utilizzato anche per far respirare lunghe inquadrature di quella che era diventata per i due orfani la quotidianità. Gesti banali e goffi si caricano di profonda emotività perché riescono ad alimentare il loro spirito in un mondo che li ha ormai dimenticati. Ora che possono fare affidamento solo l’uno sull’altro, anche il saper conservare le caramelle preferite diventa un modo per sopravvivere.
La condivisione, insieme all’enorme responsabilità che Seita si prende nei confronti della sorellina, per Nosaka era un modo di rappresentare ciò che lui non fu in grado di attuare durante la guerra. L’autore dichiarò che il racconto Una tomba per le lucciole rappresentava una personale espiazione per farsi perdonare dalla sorellina Fukui, morta di malnutrizione.
“Ho sempre pensato di voler compiere quegli atti generosi nella mia testa, ma non ci sono riuscito.”
Un anime neorealista
Poiché tratto da vicende reali e diretto con un approccio che non vuole celare la crudezza degli scenari, il film si accosta facilmente al neorealismo italiano. Taakhata non ha mai nascosto la sua ammirazione per questa corrente cinematografica, citando spesso la regia di De Sica e Rossellini come ispirazione. L’obiettivo è raccontare le conseguenze della guerra sulla povera gente, offrendo una visione della loro vita priva di giudizi. Anche i personaggi più negativi della storia, come ad esempio la zia devota all’Impero, si collocano in un ambiente in cui “giusto” e “sbagliato” sono divisi da una linea troppo labile. Seita stesso è costretto a rubare ai contadini per permettere a sé e a sua sorella di mangiare. Il risultato è un prodotto che Takahata stesso definì “documentario emotivo”, in cui la guerra non fa da semplice sfondo, ma si respira in ogni scena.
Un racconto talmente crudo e reale che già all’epoca fu criticato per questo suo aspetto. Non fu un caso, infatti, che Studio Ghibli fece uscire in contemporanea Il mio vicino Totoro, film altrettanto significativo ma con di stile opposto. Una sorta di “compensazione” che doveva equilibrare il peso delle tematiche trattate. Ma nonostante in Una tomba per le lucciole la morale ambientalista, molto cara a Miyazaki, non faccia da padrone, l’ambiente inteso come “comunità” ha un peso notevole. Privi di una casa, i due orfani trovano rifugio lontano dai centri abitati: in spiaggia, lungo il torrente, sulla collina. Sono gli unici luoghi in cui riescono a riprendere fiato. E le lucciole, anche nella loro breve vita, riescono a essere una luce più rincuorante di quella che rischiara le case dei villaggi.

Le lucciole che sopravvivono
A quasi quarant’anni dalla sua uscita, l’evento organizzato da Lucky Red si fissa come data imprescindibile per ogni appassionato di animazione. Ma l’invito si estende a chiunque ami il cinema che emoziona. Una tomba per le lucciole ci invita a riflettere con un silenzio che risuona più di qualsiasi altro messaggio e supera ogni barriera linguistica. Un silenzio che smaschera l’ipocrita idealizzazione della guerra mostrando le sue vittime più vulnerabili. Tema che purtroppo oggi è più attuale che mai.